giovedì 21 maggio 2009

ABUSI NELL'AREA PARCO DEL CILENTO. DOSSIER DEL CODACONS. MOLTI DI QUEI TERRENI SONO ANCHE IN USO CIVICO MA NESSUNO LO DICE.

2° DOSSIER CILENTO DEL CODACONS SALERNO

L’EMERGENZA AMBIENTALE
NEL TERRITORIO DEL PARCO NAZIONALE
DEL CILENTO E DEL VALLO DI DIANO

(Azioni dal 1 gennaio 2008 al 31 gennaio 2009)













DOSSIER a cura di dell’Ufficio Legale del Codacons Campania Onlus
Su iniziativa di: Prof. Enrico Marchetti, Presidente Regionale
Avv. Pierluigi Morena, Responsabile Gruppo Tutela Ambiente Codacons
Hanno collaborato: Avv. Raffaella D’Angelo, ufficio legale Codacons
Avv. Maria Cristina Rizzo, ufficio legale Codacons
Avv. Matteo Marchetti, ufficio legale Codacons
Ing. Roberto De Luca, Responsabile sede Codacons Sala Consilina



Prefazione
Wikipedia, l’enciclopedia virtuale più consultata su Internet, afferma che il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano è nato dalla necessità di tutelare il Cilento dalle speculazioni edilizie e da un distruttivo turismo di massa.
Con l’istituzione del Parco, oltre 13 anni fa, non sono diminuite le speculazioni edilizie né si è contenuto il degrado ambientale.
Tutt’altro!
Il Parco è sulla carta ricco di aree protette, quali sono le Zone Protezione Speciale (ZPS) e Siti d’Interesse comunitario (SIC), individuate con apposite direttive comunitarie (Direttive Cee 79/409 “Uccelli” e 92/43 “Habitat”).
Il Parco è stato insignito di altri e alti riconoscimenti internazionali.
Esso è riconosciuto dall’UNESCO come “Riserva di Biosfera” (giugno 1997).
Nell’anno 1998, poi, è stato riconosciuto “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”, da trasmettere integro alle generazioni future.
I riconoscimenti paesaggistici e ambientali non mancano, come si vede.
Aree protette, aree SIC, aree ZPS, leggi molto vincolanti.
Si tende –almeno sulla carta- a conciliare lo sviluppo territoriale con la conservazione della natura.
Tuttavia, le cose, com’è noto, non vanno come dovrebbero!
Si registrano sistematiche violazioni delle leggi che dovrebbero tutelare le qualità culturali e naturali che sono alla base dello status di Parco e dei riconoscimenti internazionali.
Tali violazioni sono state ripetutamente denunciate dal Codacons con tutti gli strumenti giudiziari che la Legge mette a disposizione. Non sono mancati quindi esposti, diffide, denunce-querela alle Procure della Repubblica. E ancora ricorsi al Tar, ripetuti esposti alla Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio e all’Ente Parco.
Talvolta si è dovuta investire l’Unione Europea del crescente degrado ambientale. Come nel caso delle dune marittime di Marina di Camerota oramai aggredite dal turismo di massa.

Il Dossier riprende anche azioni avviate negli anni precedenti e per questo è stata inserita la rubrica Dove eravamo rimasti? Un’altra rubrica Come è andata a finire? Segnala gli esiti delle azioni intraprese dal Codacons.
È questa una testimonianza documentale di quella parte di Sud che, i forma associata, si batte per l’affermazione della legalità, del rispetto delle regole da contrapporre all’inerzia, all’ineluttabile, alla rinuncia, alla nefasta tendenza a “svendere legalità e pezzi di territorio per acquistare consenso”.


Le iniziative del Codacons nel territorio del PNCVD

Tutela del litorale costiero.

La cementificazione della costa sta assumendo connotati sempre più preoccupanti.
I Comuni concedono concessioni a costruire in modo invasivo, anche a pochi metri dal mare, talvolta addirittura con rimozione di sabbia e di massi naturali.
In tal modo diventa spesso difficile comprendere l’effettività del ruolo di controllo, di supervisione e di tutela paesaggistica che la Legge concede ad Enti quali il PNCVD e la Soprintendenza ai Beni Culturali e per il Paesaggio.


Pisciotta.
Il Porto
Il Comune di Pisciotta, utilizzando finanziamenti comunitari (i noti P.o.r.), procede all’ampliamento del Porto turistico di Pisciotta. I lavori danno luogo a una pesantissima opera di cementificazione.
Nei primi mesi dell’anno 2008 il Codacons formulava istanza di accesso richiedendo alla Soprintendenza ai Beni Culturali e per il Paesaggio di Salerno copia delle autorizzazioni all’ampliamento del Porto.
L’Associazione, esaminata la documentazione fornita dalla Soprintendenza, con atto del 3.4.08 evidenziava il mancato rispetto degli accordi convenuti tra la Soprintendenza medesima ed il Comune, infatti:
· non risultava agli atti l’attivazione di alcuna procedura per la Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) a norma della legislazione esistente;
· contravvenendo a quanto autorizzato dalla Soprintendenza, veniva realizzato un pennello a <> a nord del Porto stesso, con la completa asportazione della originaria scogliera preesistente, nonchè il salpamento di parte della scogliera a sud del porto, oltre i 70 m. dalla battigia.
Il Codacons investiva della questione anche la Regione Campania, la quale, con Nota del 28.2.08, comunicava che presso il Settore Tutela Ambiente non risultava presentata istanza per V.I.A. nè Valutazione d’Incidenza.
A quel punto la Soprintendenza, dopo sopralluoghi di rito, ordinava con Atto (Prot. N.15682) del 27.05.08 la immediata sospensione dei lavori sul pennello a forma di “T” con ripristino dello stato preesistente.
Avverso il provvedimento di sospensione del 27 maggio 2008 il Comune di Pisciotta presentava ricorso innanzi al Tribunale Amministrativo di Salerno.
Il Codacons interveniva nel giudizio amministrativo a sostegno delle ragioni della Soprintendenza.

Inoltre, nell’ottobre 2008 l’Associazione chiedeva formalmente un parere alla Regione Campania e al Ministero dell’Ambiente per sapere se un’opera portuale ricadente in area Parco non debba prevedere una preventiva autorizzazione dell’Ente Parco medesimo e se non debba preventivamente predisporsi una Valutazione di Impatto Ambientale.
La Regione comunicava che non era concesso alcun parere di Valutazione di Impatto Ambientale e che provvedimenti adottati senza l’adozione della V.I.A. sono annullabili per violazione di legge.
Il Ministero non riscontrava la Nota del Codacons.

Ancora Pisciotta: la cementificazione a pochi metri dal mare.
In località Lacco nel Comune di Pisciotta, a pochi metri dal mare, la Cooperativa Sea Village intende realizzare circa 40 villini (!), una struttura produttiva turistica ricadente nella zona omogenea D del vigente P.R.G. del comune di Pisciotta.
In verità un massiccio e pesante intervento urbanistico in prossimità della costa e del mare!!
La Cooperativa richiedeva allo Sportello Unico Attività Produttive del Cilento di attivare le procedure per la variante urbanistica.
Il Comune di Pisciotta (correttamente) si opponeva alla variante dichiarando allo Sportello Unico-Cilento la non conformità di tale intervento urbanistico al vigente strumento urbanistico poiché intervento ricadente in Zona E4 (zona agricola di salvaguardia, geologicamente instabile) che non prevede interventi produttivi turistici come quelli proposti dalla Cooperativa medesima.
Inoltre il Comune di Pisciotta sosteneva che l’insediamento produttivo può certamente essere ubicato in aree specificatamente destinate alla realizzazione di tali impianti in quanto nella zonizzazione del P.R.G. del Comune vi sono ancora aree destinate ad insediamenti produttivi ampiamente estese da consentire non uno ma più progetti simili a quello proposto.
La Cooperativa proponeva ricorso al Tribunale Amministrativo di Salerno avverso il provvedimento di diniego.
Il Codacons Campania è intervenuto nel giudizio amministrativo a sostegno della posizione del Comune e contro il tentativo di speculazione edilizia.

Agropoli.
Diffida preventiva alla Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio di Salerno per la salvaguardia e la preservazione della baia di Trentova.
Tale iniziativa si rendeva necessaria dopo la notizia di stampa (su “Il Mattino” del 28.09.2007, pagina 43 Edizione di Salerno) relativa alla sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra il Comune di Agropoli e Italia Turismo spa per la “valorizzazione della baia di Trentova” con progetti che, a quel che riportavano gli organi di informazione, sarebbero finalizzati prevalentemente alla ricettività turistica.
Il Codacons interveniva per diffidare da eventuali interventi votati alla cementificazione e alla speculazione edilizia che snaturassero la conformazione e l’equilibrio paesaggistico della rinomata Baia.
Ciò soprattutto alla luce di precedenti interventi che nello specifico hanno già alterato l’eco-sistema della baia di Trentova, si pensi alla costruzione della strada che conduce ad Agropoli -la quale costeggia la collina a ridosso della baia- che ha già stravolto il paesaggio.
La diffida segnalava che sulla spiaggia di Trentova, negli anni, sorgevano strutture tutt’altro che eco-compatibili, senza dubbio alcuno invasive e in ogni caso di notevole impatto visivo e pregiudizievole per l’ambiente e per il paesaggio; si pensi alla distesa di cabine (di colore bianco) in cemento armato o al disarmonico chiosco posto al centro della baia.
E’ quindi indispensabile un’attenta attività di controllo per la salvaguardia di uno degli ultimi avamposti del Cilento costiero lasciato –quasi per miracolo- fuori - forse perché non nella disponibilità delle amministrazioni locali - dalle logiche cementizie.

Dove eravamo rimasti?
Il Codacons nel 2008 ha ripreso la battaglia per la tutela della baia di Trentova.
Nel dicembre 2008, veniva presentato al Comune di Agropoli istanza di accesso per avere copia di eventuali progetti preliminari e/o esecutivi e comunque interventi nell’area ricompresa nella baia di Trentova; di eventuali studi di fattibilità relativi alla realizzazione di interventi di ricettività turistica o attività ricreative sull’area di Trentova; delle variazioni di vincoli urbanistici e/o ambientali sussistenti nell’area della baia di Trentova nonché eventuali Verbali e pareri espressi in seno all’eventuale Conferenza dei Servizi.
Il Comune di Agropoli non rispondeva a tale istanza.
Il Codacons, nel gennaio 2009 presentava ricorso al Tribunale Amministrativo di Salerno per ottenere accesso agli atti.











Marina di Camerota.
Oltre 30 concessioni agli stabilimenti balneari: uno degli ultimi lembi di spiaggia con dune marittime nelle mani del turismo di massa.
Il Codacons Campania, nell’ottobre 2008 ha presentato alla Commissione Europea una denuncia per apertura di Procedura di Infrazione contro lo Stato italiano per violazione delle norme comunitarie che proteggono le aree S.I.C..
La vicenda riguarda le note dune marittime presenti – un tempo – sul litorale di Marina di Camerota.
Il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano elaborava un Piano di Gestione del S.I.C. (IT8050041) denominato “Scoglio del Mingardo e spiaggia di Cala del Cefalo” in ottemperanza del Progetto LIFE Natura “gestione della rete dei Sic e Zps nel Parco”.
Il Progetto definitivo del Parco -corredato di Relazione generale, Valutazione di Incidenza e Planimetrie- è in realtà contraddittorio, incongruente e lacunoso.
In sintesi: il Progetto non consente un’adeguata protezione del Sito d’Interesse Comunitario, anzi lo pregiudica fortemente. Il Piano riconosce, e non potrebbe essere diversamente, che “Cala del Cefalo rappresenta per l’Italia meridionale uno degli ultimi lembi di duna colonizzata da vegetazione psammofila, caratterizzata da specie vegetali tipiche dei terreni sabbiosi, in grave pericolo di estinzione, principalmente a causa del calpestio, del passaggio di automezzi sulle dune”.
Quindi il Piano, nelle sue linee-guida prevede, almeno sulla carta, un controllo delle concessioni nel tratto dunale e costiero sottolineando che l’antropizzazione derivante (anche) dalle crescenti concessioni agli stabilimenti balneari nell’area dunale comporta un sicuro danno ambientale. Si fa un gran parlare del pregiudizievole incremento delle strutture ricettive (campeggi e villaggi turistici) e delle strutture balneari (ristoranti e stabilimenti) a discapito della vegetazione presente sulle diverse fasce dunali e dell’integrità degli ambienti naturali presenti ai piedi delle pareti rocciose.
Il Piano poi osserva che l’eccessiva presenza antropica, dovuta a strutture ricettive sempre più estese, danneggia l’intero habitat, con danno anche per le specie di uccelli (Gabbiano reale e gabbiano corso) che abitualmente nidificano sulle falesie rocciose lì presenti. Queste perplessità sono ripetute, con enfatica apprensione, anche nella parte dedicata all’Analisi Swot.
Osservazioni tutte riprodotte anche nella Valutazione di Incidenza Ambientale che è stata elaborata nell’Area SIC nell’ambito del Piano di Gestione del sito.
Tutto sulla carta, ovviamente.
Ben differente è la realtà!
Infatti, malgrado le analisi sui problemi sussistenti sull’area SIC e sul conseguente danno ambientale, oramai irreversibile, che ne è derivato, nonostante le belle dichiarazioni d’intenti e lo studio-censimento dell’Università di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale, che attesta che nel 2007 –raffrontando i dati con quelli raccolti nel 2000- si registravano gravi perdite di specie autoctone su Cala del Cefalo a causa del disturbo antropico, l’Ente Gestore dell’area, ossia il medesimo Ente Parco e con esso gli altri soggetti interessati, ha previsto -e autorizzato nella stagione estiva 2008- oltre 30 (!) stabilimenti balneari lungo l’intera area SIC e a ridosso immediato delle dune marittime.
Tali strutture, peraltro, non sono nemmeno dotate delle strutture eco-compatibili e bio-degradabili enunciate nel Piano.
Uno sfruttamento smisurato e di massa che non è sottoposto neppure a controlli o a minime attività di vigilanza. E pensare che da un lato l’ente gestore del sito nei citati piani apertamente sostiene che l’antropizzazione –dovuta alle strutture suddette- è causa di danno naturalistico, dall’altro lato ne consente una fruizione turistica di massa e senza utilizzo di materiali sostenibili con l’ambiente.
Pertanto “uno degli ultimi lembi di duna colonizzata dell’Italia meridionale” è consapevolmente oggetto di sicura distruzione.
Non è tutto.
Troppi sono anche i campeggi che si aprono nella pineta, essi tendono a recingere le aree con materiali fissi che sono ritenute dannosi dallo stesso Piano. Come si vede, su un’area tanto sensibile è tollerata una diffusa illegalità, uno sfruttamento incondizionato e una mancanza di vigilanza che negli anni hanno determinato: eliminazione del sottobosco, presenza di edifici in muratura, percorsi asfaltati o compattati con materiali alloctoni, presenza di piante alloctone, mancanza di depurazione a norma delle acque reflue, sconfinamenti speculativi.




















Tutela delle aree interne.


Monte San Giacomo.
Il Comune di Monte San Giacomo approntava la costruzione di una strada – avente la portata di un’autostrada ! - sul Monte San Giacomo, a 1200 metri sul livello del mare, in zona di particolare pregio ambientale e paesaggistico e in difformità dai progetti originari.
Il Codacons, sostenendo la lotta di Comitati civici, presentava denuncia penale alla competente Autorità Giudiziaria presentando istanza di costituzione di parte civile nel processo penale incardinato innanzi al Tribunale di Sala Consilina contro gli amministratori locali.
L’istanza di costituzione di parte civile veniva accolta, il processo penale è in corso.

Torraca.
Centrale eolica e kartodromo: area SIC (IT 8050022)
La montagna di Casalbuono che si affaccia sul golfo di Policastro, nel comune di Torraca, è una zona di forte migrazione di molte specie di uccelli e ritenuta, dall’Autorità di Bacino, molto fragile per la sua natura carsica, e quindi inadatta ad ogni attività umana.
Tuttavia, su questa area l’amministrazione comunale intendeva portare avanti due interventi che, se realizzati, avrebbero causato un considerevole danno ambientale: un kartodromo e una centrale eolica.
Il Codacons presentava atti di interventi nei giudizi amministrativi promossi innanzi al Tar di Salerno. L’Associazione contestava l’inidonea ubicazione della centrale eolica e Ie speculazioni sulle certificazioni ambientali. I ricorsi venivano accolti.
Il Comune proponeva appello al Consiglio di Stato, l’appello veniva accolto.












Tutela dei corsi d’acqua.

Il Fiume Calore.
Il Consorzio Velia per la Bonifica del Bacino dell’Alento aveva un’idea originale (!?!), persino illuminante.
Nel luglio 2008 (Atto con Prot. N. 1086) il Consorzio presentava all’Ente Parco una Scheda Tecnica Preliminare su “L’interconnessione degli Schemi Idrici Sele - Alento” (Proposta sostenibile per lo sviluppo integrato del Cilento Centrale e della Valle del Sele).
Un progetto faraonico quanto inutile e dannoso.
Il Progetto - lugubremente denominato “Interconnessione degli Schemi Idrici” – prevedeva di realizzare, in prossimità delle note “Gole del Calore”, la deviazione delle acque del Fiume con concomitante esecuzione di una galleria drenante sommersa nel sistema alluvionale del fiume e costruzione di una galleria lunga 2.500 mt che consentirebbe di scaricare le acque nel bacino dell’Alento per essere successivamente trasferite verso il sistema irriguo del Consorzio di Bonifica di Paestum.
Tutto ciò per combattere la tropicalizzazione del clima nel Sud Italia, senza che si specifichino neppure le fonti scientifiche della asserita tropicalizzazione in atto.
Il Codacons Campania diffidava la Regione Campania, l’Ente Parco e lo stesso Consorzio dall’intraprendere un progetto tanto scellerato. Cautelativamente inviava un esposto alla Corte dei Conti per chiedere vigilanza sulla regolarità della gestione del finanziamento di 161.400 Euro erogato al Consorzio dalla ex Agensud per la redazione di un studio di fattibilità sulla interconnessione degli schemi idrici.
Inoltre avviava la campagna “Salviamo il Fiume Calore” contro l’ipotesi di captazione che riscuoteva un considerevole successo.















Questo il testo della protesta lanciata dal Codacons:
Anch’io aderisco alla campagna del CODACONS CAMPANIA
“Salviamo il Fiume Calore - Non ingoiamo il rospo!”
Mando la mia e.mail di protesta indignata ma civile
al Parco del Cilento e del Vallo di Diano
per dire CINQUE VOLTE NO!

Ø NO al Progetto per la captazione e deviazione delle acque del Fiume Calore, all’altezza delle Gole del Calore;
Ø NO alla Galleria drenante sommersa nell’alveo fluviale;
Ø NO alla Galleria di 2500 metri nella montagna di Magliano per il trasferimento delle acque nel Bacino dell’Alento;
Ø NO ad inutili Conferenze di Servizi su Progetti devastanti per l’ambiente e per il paesaggio;
Ø NO alle speculazioni e agli scempi ambientali nel Cilento.
c h i e d o
all’ENTE PARCO di non indugiare oltre e di pronunciarsi nei prossimi 15 giorni per respingere il Progetto “Interconnessione degli Schemi Idrici” presentato dal Consorzio Velia Bonifica Bacino Alento.
NON INGOIERO’ ALTRI ROSPI !!!!

Come è andata a finire?
Il Consorzio accantonava il progetto!


Il Fiume Bussento.
Il fiume Bussento scorre quasi interamente all’interno dell’area del Parco Nazionale ed il suo corso insiste nell’area protetta (zona 1) ed interessa luoghi rientranti nel novero delle aree SIC. Il corso del fiume all’altezza di Caselle in Pittari defluisce all’interno di un inghiottitoio carsico dove sparisce, dando vita ad un fiume sotterraneo, per poi confluire nuovamente all’esterno all’altezza di Morigerati e poi sfociare a mare, dando vita ad un fenomeno carsico di particolare pregio e rilevanza ambientale. L’ultimo corso del fiume Bussento è ritenuto area S.I.C. (IT8050007 "Basso corso del fiume Bussento").
Tale patrimonio idrico è messo a repentaglio dal progetto che riguarda proprio l’ultimo tratto del fiume Bussento ove è previsto un intervento (Centro Canoe e strutture varie quali 3 corpi di fabbrica in ferro, vetro e legno, a due piani, con uffici, sala polifunzionale, spogliatoi, depositi, bar, mansarda praticabile ecc.) fortemente invasivo finanziato (anche) mediante POR, misura 1.9..
Inoltre, nella stessa area, o in prossimità della medesima, la Società Snam ha presentato un progetto di gasdotto che partendo da Manforte S.Giorgio in Sicilia, con tragitto sottomarino, giungerebbe alla foce del Bussento e con un tragitto in superficie costeggerebbe, e/o attraverserebbe, il fiume per un tratto di 3 km.
Tali interventi determinano, e in parte hanno già determinato, danni ambientali e paesaggistici, segnatamente alla vegetazione ripariale dove trovano rifugio e cibo uccelli migratori.
Il Codacons Campania, con atto inoltrato verso la fine dell’anno 2008, invitava l’Ente Parco e la Regione ad adottare tutte le possibili misure di protezione del sito e chiedeva alla Regione se sussistente la Valutazione di Impatto Ambientale sul progetto relativo al Centro Canoe.
La Regione Campania rimaneva inerte e non rispondeva all’atto dell’Associazione.
Il 18.11.08 il Ministero dell’Ambiente (con atto Prot. n.DSA-2008-0033197) in risposta ad un accesso del Codacons Campania comunicava che per il progetto “iniziativa Sealine Tirrenica” era stata istruita presso il Ministero medesimo apposita procedura VIA.
Il Codacons a quel punto si appellava all’art.9 L.241/1990 che recita che “qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento” e quindi chiedeva al Ministero di intervenire nel Procedimento amministrativo istruito dalla Commissione VIA.
L’istanza non ha ancora avuto riscontro.






Ancora sul Fiume Calore.
Il fiume Calore scorre quasi interamente all’interno dell’area del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano ed il suo corso insiste nell’area protetta del parco (zona 1) ed interessa numerose zone rientranti nel novero delle aree SIC, quali siti di importanza comunitaria appositamente classificati.
È noto anche che i paesi situati a monte delle rinomate “Gole del Calore” siano poco attenti alla depurazione delle acque riversate nel corso d’acqua del Calore.
Il Codacons, nel gennaio del 2009, ha lanciato la nuova Campagna “SALVIAMO IL FIUME CALORE”.
Veniva così inoltrata una diffida al Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, invitando l’Ente ad assumere tutte le più opportune e urgenti iniziative e misure per la risoluzione delle problematiche ambientali del Fiume.
Inoltre il Codacons Campania richiedeva all’Ente Parco accesso ai documenti concernenti l’adozione di depuratori da parte dei Comuni della Valle del Calore, dei provvedimenti su controlli sulla sussistenza di tali impianti, sulla qualità delle acque e sul controllo della conformità degli impianti di depurazione eventualmente esistenti alle norme di legge.
Ancora l’Ente veniva sensibilizzato sulla necessità di controllo del deflusso minimo vitale.
La Campagna interessava anche i Comuni di Laurino, Valle dell’Angelo e Magliano Vetere, tutti posti a monte delle “Gole”, ai quali si richiedevano notizie sull’esistenza e in tal caso sul funzionamento degli impianti di depurazione.




















Tutela del territorio: azioni contro l’abusivismo edilizio.

È il diffuso – e ahinoi tollerato - abusivismo edilizio uno dei fattori di maggiore degrado ambientale che si registra nel Parco Nazionale. L’annoso problema ha oramai assunto i connotati di una piaga sociale e finanche “culturale”.
Il fenomeno è estremamente sottovalutato – o addirittura in nulla avvertito – dalle popolazioni e dalle Istituzioni che lo tollerano tanto da non applicare, nella maggior parte dei casi, le misure di contrasto e di repressione che pure sono previste dalla Legge.
Può apparire un paradosso, ma il Cilento era più intatto prima che diventasse un’area protetta. Nel 2005 sono stati accertati dai carabinieri del Comando provinciale di Salerno 100 casi di abuso edilizio nel Parco.
Come esempio di profondo degrado e di gestione quantomeno discutibile della cosa pubblica non possiamo non riferire qui di seguito su quello che è diventato un vero e proprio CASO, il “CASO MONTECORICE” sollevato con forza dal Codacons in tutte le sedi con puntuali diffide legali presentate al Comune, alla Soprintendenza, all’Ente Parco, al Prefetto, al Ministero dell’Ambiente. A queste diffide hanno fatto seguito anche azioni di carattere giudiziario.

Cosa fa l’Ente Parco contro il diffuso abusivismo edilizio?

Niente, verrebbe subito da dire.
Quasi niente, diciamo ricorrendo a formule più diplomatiche!
Il “caso Montecorice” è in questo Dossier dettagliamene descritto. Esso, come si vedrà, è l’emblema dell’inerzia culturale, dell’inefficienza amministrativa, della poca attenzione verso la legalità e il rispetto delle regole.
Il Codacons tuttavia non esauriva al “caso Montecorice” la propria attività finalizzata alla tutela ambientale e alla osservanza della legalità.

Con istanza di accesso ambientale del settembre 2007 il Codacons aveva già chiesto all’Ente Parco copia delle Ordinanze emesse per la demolizione di opere abusive nell’area Parco nonché copia delle Ordinanze aventi ad oggetto l’acquisizione al patrimonio pubblico delle opere abusive presenti nel territorio del Parco.
Ciò al fine di verificare l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi che la Legge 394/1991 pur riconosce al Presidente dell’Ente Parco nell’ambito del territorio del PNCVD; un potere forte e concreto sia inibitorio che demolitorio delle opere abusive, in pratica gli stessi poteri attribuiti al dirigente comunale.
L’Ente Parco, in risposta all’istanza di accesso, forniva la documentazione richiesta.
Dagli atti acquisiti emergeva che l’Ente Parco, nel corso dei suoi quasi QUINDICI ANNI (!) di vita, emetteva solo QUATTRO ORDINANZE di demolizione.
Un numero esiguo, irrisorio a fronte di un fenomeno di abusivismo edilizio diffuso, con tassi tra i più alti in Italia e nell’Europa comunitaria.
Queste le Ordinanze rese:
anno 1998-abbattimento di corpi di fabbrica siti in Casalvelino;
anno 1999-abbattimento di piccolo manufatto nel Comune di Centola;
anno 2000-abbattimento di 53 corpi di fabbrica siti nel Comune di Montecorice;
anno 2002-abbattimento di un piccolo manufatto e di piccole strutture in legno site nel territorio del Comune di Castellabate.
Nel dicembre 2008 l’Associazione chiedeva nuovamente all’Ente Parco

La richiesta di trasparenza nella lotta contro l’abusivismo edilizio.
L’Associazione, considerata la poca avvedutezza nella politica di contrasto al fenomeno dell’abusivismo edilizio, chiedeva all’Ente Parco di conoscere le ordinanze adottate ai sensi dell’art.29 della legge 394/1991 negli anni 2003, 2004, 2005, 2006, 2007 e 2008 per l’abbattimento e per il ripristino delle opere edilizie abusive nell’area del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano.
L’Ente Parco non rispondeva alla richiesta di accesso.
Il Codacons Campania predisponeva Ricorso al Tribunale Amministrativo per vedere riconosciuto il diritto di accesso e quindi la trasparenza dell’attività amministrativa.


















Gli eco – mostri

Montecorice.
Nel Comune di Montecorice, sovrastanti la pregiatissima collina della Loc. Case del Conte, in prossimità delle Ripe Rosse, vi sono, in posizione dominante, svariati manufatti abusivi.
Gli ordini di demolizione sono inevasi da oltre 20 anni!
Fuor dal burocratese, le ordinanze di demolizione non sono eseguite da oltre VENTICINQUE ANNI!
Un complesso residenziale -non completato- composto di numerosi scheletri di cemento che arrecano all’ambiente un notevolissimo pregiudizio e determinano un sicuro degrado paesaggistico tanto da essere giustamente definiti “eco-mostri”.
“Eco-mostri” che il proprietario ha strenuamente difeso in sede penale, civile e amministrativa perdendo tutte le battaglie giudiziarie stanti le conclamanti illegalità.
Più di vent’anni non sono bastati alle Autorità competenti (Comune, Ente Parco, Prefetto, Procura della Repubblica) a procedere agli abbattimenti così come previsto dalla Legge.
È questa una storia molto “italiana” che merita di essere raccontata nel dettaglio.
Si segnalano le varie tappe:
-1- Il Codacons presentava istanza di accesso ambientale al Comune di Montecorice chiedendo la documentazione relativa ai manufatti in questione.
Da tale documentazione emergeva chiaramente l’abusività dei manufatti.
-2- A quel punto il Codacons, preso atto dell’inerzia del Comune di Montecorice che non si attivava per la demolizione delle opere abusive, richiedeva l’intervento del Prefetto di Salerno affinché valutasse se gli amministratori locali violavano persistentemente le norme di legge e affinché adottasse i necessari provvedimenti per l’abbattimento delle strutture abusive.
-3- Il Prefetto di Salerno, con Nota del 10-sett-07, chiedeva chiarimenti al Sindaco di Montecorice. Inoltre il Prefetto, con Nota del 7-genn-08, a seguito di nuova richiesta formulata per iscritto dal Codacons, comunicava che l’11-ott-07 venivano convocati in Prefettura il Sindaco e i rappresentanti della Soprintendenza di Salerno e dell’Ente Parco. In detta riunione il Sindaco di Montecorice si impegnava ad accelerare l’iter per la demolizione dei manufatti abusivi.
Dopo molti mesi nulla è cambiato!!
I manufatti di cemento sono ancora lì, intatti.
-4- Il Codacons, a quel punto, presentava nuova istanza di accesso ambientale al Comune di Montecorice per verificare eventuali iniziative assunte dall’Ente.
Il Comune non rispondeva all’accesso. Il Codacons, nel gennaio 2008, ha presentato ricorso al Tar di Salerno.
-5- Il Codacons, viste le incomprensibili inerzie ed omissioni, investiva della questione il Presidente della Repubblica.
-6- Nel luglio del 2008 il Comune di Montecorice finalmente rigettava l’istanza di condono edilizio e successivamente adottava Ordinanza di abbattimento degli Eco – mostri.
-7- Il proprietario dei manufatti di cemento avverso tali atti presentava Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e impugnativa innanzi al Tribunale Amministrativo di Salerno.
Il Codacons interverrà in dette procedure per sostenere le ragioni del Comune.


L’ultimo paradosso: gli Eco-mostri generati con i fondi P.O.R.
Il Codacons Campania assume iniziativa per comprendere il meccanismo di gestione dei finanziamenti comunitari nell’area del Parco Nazionale.
A titolo esemplificativo, l’attenzione si concentra su DUE progetti che hanno usufruito del finanziamento P.O.R..
È l’Ente Parco ad avere un ruolo centrale nella gestione dei P.O.R., denominati P.I.T., non cambia però la sostanza: si tratta sempre di finanziamenti europei. Cooperano con l’Ente Parco nella gestione dei cospicui finanziamenti comunitari gli altri enti locali.
Veniamo ai DUE progetti; a seguito di accesso agli atti l’Associazione ottiene i documenti sul “Museo del fiume e dell’area faunistica della Lontra” nel Comune di Aquara e il “Centro Internazionale per lo Studio delle Migrazioni – Calcante -Progetto definito “I MITI”- nel Comune di Centola.
Strutture, queste, che allo stato non risultano essere operanti né funzionali, anzi, dette pesanti strutture creano (paradossalmente) un pregiudizievole impatto per l’ambiente e per il paesaggio stante l’ampiezza dei volumi e l’utilizzo di materiali non eco-compatibili.
Complessi, come accennato, non funzionati pur avendo determinato un esborso finanziario ingente.
I costi?
Il “Museo del fiume e dell’area faunistica della Lontra” richiedeva una spesa di 538.102,58 Euro!!
Il “Centro Internazionale per lo Studio delle Migrazioni – Calcante -Progetto definito “I MITI”- (fortemente voluto dalla Regione Campania e con parere favorevole dell’Ente Parco) prevedeva un esborso di 1.291.142,18 Euro!!
Solo per meglio comprendere come funzionano le cose …. “certe cose”: il Centro Internazionale per lo Studio delle Migrazioni non veniva costruito, com’è da aspettarsi in un Paese normale, con materiali eco – compatibili e facilmente mimetizzati con l’ambiente circostante. Veniva invece edificata, con pesante calcestruzzo e in posizione dominante, una vera palazzina di TRE piani, a forma di “fungo” circolare.
Veniva così portata a compimento la (definitiva) devastazione paesaggistica di un’intera area che scorre lunga la rinomata Mingardina, tratto prima di allora pregiatissimo.
Tanto in nome dell’osservazione della fauna migratoria……..
Tre i risultati conseguiti con (molti de)i P.O.R.:
un clamoroso sperpero di denaro pubblico;
un danno di immagine verso le istituzioni comunitarie e verso i contribuenti europei;
nessuno sviluppo, anzi edificazione di nuovi eco-mostri che degradano il paesaggio.
Il Codacons Campania ha presentato denuncia alla Corte dei Conti nazionale e comunitaria.


I nuovi POR 2007/2013
L’Associazione, visti gli sprechi che hanno caratterizzato la precedente gestione dei fondi europei, chiedeva all’Ente Parco di conoscere il programma e quindi le opere da finanziare nel territorio del Parco con fondi POR / PIT.
Il Ministero dell’Ambiente, investito per conoscenza dell’istanza del Codacons, interveniva dichiarando che il diritto alla trasparenza e alla divulgazione cede di fronte ad altre esigenze di salvaguardia di altri interessi protetti dalla normativa speciale.
L’Ente Parco non rispondeva alla richiesta di accesso.
Il Codacons Campania predisponeva Ricorso al Tribunale Amministrativo per vedere riconosciuto il diritto di accesso e quindi la trasparenza dell’attività amministrativa.





























Conclusioni

Le situazioni di forte degrado evidenziate nel presente Dossier rappresentano un frammento minimo delle numerosissime sofferenze ambientali e paesaggistiche cui è sottoposto un patrimonio che ha un valore così pregevole da ricevere ambiti riconoscimenti internazionali dall’Unesco.
L’incuria ha raggiunto punte di tale gravità che accompagnata dalle inerzie delle Istituzioni e degli organi deputati all’attività di controllo mantiene vivo il quesito che diede il titolo al Dossier 2007: Cilento, è degno di essere chiamato Parco naturale?
La domanda è affermativa se ci soffermiamo sulle bellezze naturali che resistono alla mano dell’Uomo e ad una gestione quantomeno discutibile delle risorse.
Più difficile è la risposta se valutiamo le scelte amministrative e strategiche.
È tuttavia intenzione del Codacons sottoporre il quesito all’attenzione dell’opinione pubblica e dei rappresentanti istituzionali di buona volontà. Primi fra tutti quelli che operano in seno alla Commissione dell’Unione Europea, alle Autorità inquirenti, alla Prefettura, al Ministero dell’Ambiente, al nuovo Presidente dell’Ente Parco, alla Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio, alla Capitaneria di Porto. Organi questi naturali destinatari degli esposti, delle denunce, delle querele, delle diffide e delle azioni giudiziarie del Codacons.
La domanda non potrà non investire anche i rappresentanti dell’UNESCO, sezione Italia, affinché essi facciano –responsabilmente- le opportune riflessioni sulla sussistenza delle condizioni che hanno portato al riconoscimento degli status ambientali già assegnati al Cilento.

martedì 5 maggio 2009

per SURVIVAL A TUTELA DEI POPOLI INDIGENI


Prima di lasciare le loro proprietà bruciano tutto, per non lasciare niente agli Indios. Per la prima volta a essere cacciati dalla loro terra, nell'Amazzonia brasiliana, non saranno gli indigeni: sono loro ad avere vinto, per la prima volta, una battaglia legale che riconosce i loro diritti e vieta ai latifondisti di frazionare un'altra fetta di foresta. A dover fare le valige, con le buone o con le cattive, sono i bianchi. Scaduta la data limite di 45 giorni per il ritiro volontario dei non-indios, la polizia federale brasiliana ha infatti cominciato le operazioni di espulsione dei grandi coltivatori di riso (arrozeiros), dei latifondisti e dei contadini che ancora occupano abusivamente la terra indigena Raposa/Serra do Sol, nello stato amazzonico settentrionale di Roraima.
LA RESISTENZA DEI LATIFONDISTI - Il capo degli "arrozeiros", Paulo Cesar Quartiero, accusato di molteplici episodi di violenza contro i nativi locali e di danni all’ambiente, ha resistito quasi 12 ore allo sgombero opponendosi a una pattuglia di 25 agenti. La sua Fazenda Providencia, riferiscono i giornali brasiliani, è stata assegnata dal "tuxaua" (capo indigeno) Avelino Pereira della comunità di Santa Rita a dieci famiglie di nativi che vivranno di agricoltura. Le autorità locali stimano che il ritiro forzato degli occupanti da Raposa si protrarrà, tra le tensioni, almeno per due settimane.
LA DECISIONE DELLA CORTE - Con una decisione che avrà ripercussioni anche sulle terre indigene ancora da demarcare, il Supremo tribunale federale brasiliano si era pronunciato a metà marzo per l’allontanamento dei bianchi confermando l’omologazione in area continua e senza frazionamenti di Raposa, 1,7 milioni di ettari abitati da 17.000 indigeni Macuxi, Wapixana, Ingariko, Patamona e Taurepang, già firmata dal presidente Lula nel 2005 a conclusione di un iter legale durato quasi 30 anni.
IL GOVERNATORE: «DIVENTERA' UNO ZOO UMANO» - A peggiorare le cose è intervenuto anche il governatore di Roraima, José de Anchieta Júnior, da sempre contrario ai diritti degli Indios. Nelle dichiarazioni al quotidiano "Globo" non ha certo nascosto il suo disappunto per la decisione della Corte suprema: « Non pretendo nè voglio discutere oltre. Ne abbiamo già parlato a fondo. La riserva indigena di Roraima si trasformerà in un autentico zoo umano. Senza contatto con i Bianchi, quelli che vedremo vivere là saranno animali umani».
NUOVE INSIDIE PER GLI INDIOS - Nella sentenza ci sono comunque alcune clausole che potrebbero avere gravi conseguenze per gli Indiani in tutto il Brasile. I giudici della Corte Suprema hanno infatti stabilito che i governi federali dello stato brasiliano – alcuni dei quali notoriamente anti-
Un indios di Raposa durante la visita al Papa a Roma Indiani – dovrebbero essere coinvolti in modo più attivo nei processi di demarcazione dei territori indigeni. La loro partecipazione potrebbe rendere le demarcazioni più lente e difficoltose. La sentenza sancisce anche che i popoli indigeni non debbano essere consultati su progetti di sviluppo che, pur riguardando le loro terre, vengano dichiarati “di interesse nazionale”. I giudici hanno anche stabilito che i territori indigeni che sono già stati demarcati (e mappati) non devono essere ampliati. Questo preoccupa in modo particolare tribù come i Guarani, a cui sono state riconosciute legalmente solo piccole aree di terra prima della costituzione del 1988 che garantisce i loro “diritti originali” sulle terre ancestrali. Ana Paula Souto Maior, avvocato della ONG brasiliana ISA (Istituto Socio Ambientale), ha commentato: «Alcune di queste condizioni sono allarmanti e non resta che vedere che tipo di impatto potranno avere sui numerosi territori che ancora aspettano di essere demarcati o ampliati».
Stefano Rodi 05 maggio 2009