domenica 4 luglio 2010

intervista a CLUB 3 VIVERE IN ARMONIA EDIZIONI SAN PAOLO


Italia vendesi
Entro fine luglio sarà disponibile l’elenco dei beni demaniali che potranno essere ceduti
Lo Stadio dei marmi di Roma L’Italia è in vendita. Con l’entrata in vigore del federalismo demaniale molti luoghi di interesse, fino ad oggi proprietà dello Stato, potranno essere venduti o trasformati secondo la volontà delle amministrazioni locali. Terreni, palazzi, porzioni di costa, isole e musei: entro fine luglio l’agenzia del demanio metterà online l’elenco ufficiale e aggiornato dei beni a cui lo Stato rinuncerà per permettere a province e regioni di fare cassa.

Il federalismo demaniale. Il parere favorevole al primo decreto attuativo del federalismo fiscale è arrivato lo scorso 21 maggio, dopo aver ricevuto il via libera della commissione bicamerale. Il decreto prevede il trasferimento alle autonomie locali di gran parte dei beni del demanio statale, con la possibilità di venderne alcune parti per fare cassa. L’obiettivo è quello di consentire una maggiore valorizzazione del patrimonio (spesso abbandonato) con un introito che servirà ad abbattere il debito pubblico, per il 25% quello dello Stato e per il 75% quello degli enti locali.

I beni del demanio saranno trasferiti gratuitamente a comuni, province e regioni, che da parte loro ne garantiranno la massima valorizzazione funzionale. “La logica è quella della privatizzazione – spiega Giuseppe Di Genio, docente di diritto costituzionale presso l’università di Salerno – dando modo ai privati di intervenire nel settore pubblico. Gli enti locali potranno decidere in piena autonomia come utilizzare i beni ricevuti, vendendoli ad esempio ai singoli cittadini che siano interessati ad avviare attività o fornire servizi in luoghi strategici”.

Quali beni. Spiagge, fiumi e laghi andranno in automatico alle regioni, mentre i laghi chiusi (senza emissario) e le miniere verranno assegnati alle province. Dopo che il governo avrà emanato, tramite decreto, l’elenco dei beni disponibili, le amministrazioni locali avranno un mese di tempo per inoltrare la loro domanda di acquisizione, indicando un piano per la loro valorizzazione. Sono esclusi dal trasferimento il Quirinale, i palazzi delle Camere, quelli di rilevanza costituzionale, i parchi, le riserve naturali, le grandi arterie stradali e le ferrovie.

Il demanio. Per demanio si intende l’insieme di tutti i beni che appartengono a uno Stato. In Italia, in base all’articolo 822 del codice civile, ne fanno parte “il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale”. Vi rientrano anche le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche. “Questo decreto va a toccare solo la porzione statale – riprende Di Genio – visto che il demanio può essere di vario tipo: oltre ai beni statali, infatti, ci sono quelli locali, ovvero regionali, provinciali e comunali, e poi c’è il cosiddetto demanio civico, che appartiene ai singoli cittadini residenti in una determinata zona”.

Cade l’inalienabilità. La principale caratteristica dei beni pubblici è la loro inalienabilità (ovvero non possono essere venduti), insieme al fatto di rappresentare oggetto di beneficio per la collettività, che ne può usufruire direttamente o indirettamente. “In realtà – commenta Di Genio – il carattere dell’inalienabilità è andato via via scemando, tanto che da tempo i comuni procedono a sdemanializzazioni non solo giuridiche, ma addirittura di fatto”. L’inalienabilità continua a vigere solo per il demanio civico, che è anche l’unico a non essere stato toccato dal federalismo.

Tutto in mano agli enti. “Si tratta di un provvedimento molto delicato – conclude Di Genio – dal momento che coinvolge anche beni su cui esistono vincoli di carattere ambientale, archeologico e paesaggistico”. Gli enti locali dovranno essere in grado di individuare l’acquirente giusto, che sappia e voglia davvero valorizzare il bene in oggetto. “Se da un lato servirà a sanare il bilancio pubblico, d’altra parte può esserci il rischio che un privato acquisti un bene non per renderlo effettivamente più produttivo, ma magari per rivenderlo a terzi”. Italia in frantumi o più fruttuosa? Non resta che aspettare.
Paola Rinaldi

lunedì 28 giugno 2010

INIZIA LA SVENDITA DEMANIALE. BENE O MALE ?

Isole e Dolomiti, la lista delle polemiche
Al demanio locale anche le montagne. Il Pd: è estremismo
ROMA — Si avvicina l’ora X per sapere quali saranno i beni del Demanio che potranno essere trasferiti agli enti locali in base al federalismo demaniale. A fine luglio l’Agenzia del demanio diretta da Maurizio Prato fornirà un elenco dettagliato e ufficiale che apparirà sul suo sito. Intanto, da ieri è disponibile una lista provvisoria che i governatori delle Regioni o i sindaci potranno cominciare a studiare per vedere se vi sono beni interessanti. Quelli finora «inventariati » valgono oltre 3 miliardi di euro, costituiti da 9 mila immobili, chilometri di spiagge, centinaia di miniere, fiumi e laghi (in questo caso solo in concessione). I pezzi più pregiati sono quelli storici come la Cittadella di Alessandria, il Palazzo dei Normanni a Palermo, la Rocca di Scandiano, il Castello di Vigevano. Da ieri si sono aggiunte altre perle come pezzi delle Dolomiti (Tofane, Monte Cristallo, la Croda del Becco a Cortina), alcuni vecchi immobili di Porta Portese, famosa ormai nel mondo per il celebre mercatino romano, la facoltà di Ingegneria della Sapienza e persino il Nuovo Cinema Sacher di Nanni Moretti, stimato 4 milioni e mezzo di euro.
La tabella di marcia per lo storico passaggio, anticamera per una valorizzazione o addirittura la cessione a privati (in questo caso il ricavato andrà in gran parte alla riduzione del debito locale e per il 25% residuo per quello pubblico), si sta accorciando. Entro il 20 di agosto le amministrazioni centrali dovranno indicare i beni in uso che intendono conservare. Passati altri tre mesi — cioè entro il 20 di novembre—il governo pubblicherà l’elenco dei beni effettivamente cedibili agli enti locali. A questo punto Regioni e Comuni avranno a disposizione due mesi per fare richiesta spiegando però che cosa intendono fare. Se tutto va bene dopo altri 60 giorni arriveranno i decreti per il passaggio di proprietà: l’operazione dovrebbe dunque terminare entro fine marzo del prossimo anno.
Nella lista messa a punto dall’Agenzia ci sono anche montagne e laghi, ex caserme come quella di Santo Stefano vicino a Ventotene e veri e propri gioielli dal valore incalcolabile come il Museo di Villa Giulia a Roma, l’ex Forte Sant’Erasmo a Venezia, il faro di Ponza. Sempre a Roma spiccano l’ex Forte Ardeatino, l’area della Villa Gregoriana a Tivoli e l’intera area dell’Idroscalo di Ostia (valore stimato quasi 7 milioni di euro) dove Pier Paolo Pasolini trovò la morte. Nel ricco e affascinante capitolo dei fari arrivano quelli di Ponza, di Mattinata sul Gargano, di Spignon a Venezia oltre a quello di Punta Palascia a Otranto. Tra le isole che possono essere devolute quella di Santo Stefano vicino a Ventotene, terreni nell’isola dell’Unione di Chioggia e in quella di Sant’Angelo delle Polveri a Venezia e un complesso di aree dell'isola di Palmaria vicino a Portovenere.

Non sono mancate le polemiche. Se il governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia ha valutato il federalismo demaniale «una cosa giusta», l’opposizione ha avuto molto da ridire. Per il portavoce dei Verdi Angelo Bonelli «dietro questa alienazione di beni si nasconde la più grande operazione edilizia ed immobiliare della storia della Repubblica italiana». Il deputato del Partito democratico Francesco Boccia osserva che il «federalismo non deve diventare un suk, ma una nuova stagione di doveri» e annuncia che nei prossimi giorni il Pd tornerà alla carica per introdurre «forme di compensazione dei territori meno fortunati».
Roberto Bagnoli DA CORRIERE.IT
28 giugno 2010

sabato 27 marzo 2010

RELAZIONE DEL DOTT. VENNERI AL CONVEGNO DI ROSSANO (CS) DEL 22.3.2010

EVOLUZIONE NEL TEMPO DELLE FORME DI ECONOMIA, SUI TERRENI D’USO CIVICO.
22-MARZO-2010 Rossano- (CS)
(del dr. Leonardo Giambattista Venneri cell.: 335-452517, mail: leo.venneri@katamail.com)

L'uso civico è indissolubilmente legato alle sorti dell'umanità, da quando essa ha cominciato ad organizzarsi in società.
Come più volte da me ripetuto, l'uso civico è definibile "fenomeno vivente in continua evoluzione", la stessa definizione che sul dizionario Italiano è data della parola “lingua”.
E più avanti capiremo perchè.
Con l’aiuto di alcune immagini e soprattutto delle vignette dell’amico Corrado Lucibello (fig. 0) ho inteso riassumere, semplificando, l'evoluzione dell'uomo in 3 stadi.
La figura 1 mostra un uomo primitivo agli albori della sua comparsa, il cosiddetto “homo erectus”, che comparve circa 1-1.5 milioni di anni fa, e rappresenta appunto un uomo primitivo che comincia a prendere coscienza della sua superiorità sul resto del mondo, utilizzando i primi strumenti, estensioni delle mani, con i quali sopperire, modellati dall'ingegno, all'assenza di armi naturali, vale a dire denti od artigli.
Il secondo step dell'evoluzione,(Fig. 2) ci presenta l'homo sapiens, vissuto tra i 250-200.000 anni fa che, a differenza del suo predecessore, conosce ed ha imparato ad usare il fuoco, la ruota, lentamente arriva a plasmare i primi metalli, sebbene in modo rudimentale, ma soprattutto comincia ad organizzarsi in società, con lo sviluppo del linguaggio e dei sistemi di comunicazione.
Insomma si creano le prime forme di cooperazione sociale, da cui poi si sviluppano le regole comportamentali, le usanze, i riti e le tradizioni.
In ultimo, fig. 3, abbiamo l’homo economicus, molto spesso colluso o confuso con il suo contemporaneo, l’homo politicus, che rappresenta l’ultimo stadio dell’evoluzione umana, e questo ci fa riflettere sul fatto che non sempre ci si evolve verso il meglio.
In modo più dettagliato e meno romanzesco l’evoluzione umana è raccontata dai libri di storia. Abbiamo ancora qualche figura, liberamente tratta da internet.( fig. 1-bis e 4)
Ma quello che sui libri non si trova o meglio non sempre è chiaramente descritto, è la presenza di quella forma di organizzazione a sfondo economico che può ricomprendersi nella categoria degli usi civici. L’uso civico è storicamente documentato nell’antichità a partire dalla “χοίνη χωρα ” ovvero il “territorio comune” delle colonie greche della Magna Graecia. Esso era una sorta di riserva collettiva da cui i coloni traevano sostentamento, ciascuno in base alle proprie esigenze.
Ancora un altro esempio è dato dalle arimannie germaniche.
L’uso civico continua ad essere presente in tutto il medio-evo, ed in seguito, evolvendosi giuridicamente con le leggi eversive dalla feudalità, fino ad arrivare all’unità d’Italia ed alla prima legge di riordino (la 1766 del 16/06/1927), si arriva ai giorni nostri, con il conferimento dei poteri legislativi alle regioni, per quanto non di competenza statale (DPR 616/77).
Parallelamente all’evoluzione dell’uomo, abbiamo un’evoluzione dell’economia, che possiamo riassumere sempre con vignette, o immagini liberamente tratte da internet, e che rispecchiano i tre stadi del’evoluzione umana. Tale evoluzione economica è strettamente connessa all’uso civico, essendo esso profondamente legato alla storia dell’uomo in quanto dall’uso civico l’uomo traeva sostentamento e guadagno.
Abbiamo pertanto:

1) ECONOMIA DI SUSSISTENZA, O SOPRAVVIVENZA OD ESSENZIALE;
2) ECONOMIA DI CONCORRENZA, O ASSISTENZA, O DI AUSILIO AL REDDITO;
3) ECONOMIA DI CONSISTENZA, O DI MERCATO O DI ALTA REDDITIVITA’.

La prima forma di economia è quella che io definisco di sussistenza, o sopravvivenza. (fig. 5 )
E’ caratterizzata da una forma di sfruttamento delle risorse oltremodo arcaica e primitiva, ridotta all’osso,vuoi per l’assenza di strumenti adatti ad uno sfruttamento più razionale, vuoi per l’assenza di esigenze più evolute e complesse rispetto alla semplice sopravvivenza rivolta all’aspetto del quotidiano.
In questa fase, l’uomo è principalmente raccoglitore e cacciatore, poco coltivatore. Un agricoltore in erba insomma. Comincia a sfruttare la terra con mezzi insufficienti a dare frutti soverchianti le necessità basilari, e si organizza per una forma di rudimentale allevamento di bestiame. Quest’economia è quella di base, direi essenziale.
Come “USI ESSENZIALI” sono definiti nell’uso civico i diritti di pascolare ed abbeverare il bestiame, il diritto di raccogliere legna per sé, ed il diritto di semina.
Vale a dire i diritti essenziali per una sopravvivenza molto spesso ai limiti del decoro. Come recita la già citata legge del 1927 all’articolo 4, che li definisce essenziali << se il personale esercizio si riconosca necessario per i bisogni della vita >>.
Tale classificazione degli usi civici è la riprova della correlazione tra economia ed uso civico nella storia dell’uomo. Essenziali sono gli usi civici il cui esercizio è correlato al soddisfacimento dei bisogni primari dell’uomo, essenziale è la prima forma di economia, sempre agricola, che si affaccia nella storia dell’uomo.
E nella storiografia, la condizione del servo della gleba è quella che meglio incarna questo primo stadio dell’economia.
Successivamente, con lo sviluppo di nuove tecniche o tecnologie, passiamo ad una forma di economia alquanto più evoluta e che definirei di concorrenza ovvero di ausilio al reddito.
Una forma di economia che ha superato il soddisfacimento dei bisogni primari, che ormai sono sufficientemente risolti, e che diventa di sostegno o meglio di incremento al reddito base.
E’ un’economia che consente di avere un tornaconto che ecceda quello necessario al sostentamento personale e familiare. A questa forma di economia possiamo collegare sempre ai sensi dell’articolo 4 della già citata legge 1766 del 1927, gli “USI UTILI”, ovvero quelli compresi prevalentemente a scopo di industria.
L’agricoltura si è evoluta, ( fig. 6) l’uomo ha scoperto nuovi attrezzi per lavorare al meglio il terreno, si affida ad opere d’ingegno, quali l’ingegneria idraulica, per garantire un’irrigazione costante dei campi, o ricavare forza motrice da impiegare nel lavoro, sostituendo lentamente la forza animale. Passiamo dai mulini ad acqua, ai mulini a vento, fino ad arrivare all’era del vapore, e poi dell’elettricità.
Questa forma di economia è quella che permette all’uomo di evolversi da semplice contadino, rozzo e primitivo, a mediocre borghese. Status sociale che con abilità nel commercio lo porteranno in seguito, a diventare un ricco borghese.
Siamo alla fase due dell’uso civico, quello che parla appunto di “usi utili”.
Utili a migliorare la propria qualità di vita, essendo i bisogni primari già stati adeguatamente soddisfatti. Con l’evoluzione delle tecnologie, l’uomo passa da raccoglitore di frutti o di legna secca, ad industriale boschivo o imprenditore agricolo.
Se prima con la forza delle sue braccia poteva dissodare e coltivare una limitata estensione di terreno, o tagliare legna appena sufficiente per i suoi bisogni,o limitarsi a raccogliere quanto la terra gli offriva spontaneamente, ( il ruspo, il ghiandatico, lo spicilegio) ora con l’ausilio delle macchine, (fig. 7) arriva a coltivare importanti estensioni di terreni, e a poter tagliare un intero bosco in pochi giorni al fine di commercializzarne il legname.
O cavar pietre in quantità tale da costruire intere città.
Il motivo per cui insisto su questo secondo stadio, vale a dire di concorrenza al reddito base, sarà presto chiaro, dopo un breve cenno al terzo stadio dell’evoluzione economica.
Quest’ultimo può essere definito dell’economia di consistenza, ovvero della cosiddetta economia di mercato ad alta redditività (fig.8).
E’ quella forma di sfruttamento intensivo finalizzata strettamente alla produzione di reddito, anzi di alto reddito, un reddito di qualità, non più strettamente di base o di sopravvivenza, ma di una forma di ricchezza paragonabile a quella proveniente dalle alte speculazioni edilizie o finanziare.
Nella nostro Paese, sui terreni di uso civico, possiamo dire che le prime due forme di economia, quella di sussistenza e di concorrenza, si sono realizzate dove prima e dove poi, completamente in tutto il territorio.
Invece la terza non ha avuto nel meridione lo stesso sviluppo che ha avuto nel settentrione, e laddove si è cercato di praticarla, l’economia di mercato o di consistenza, non ha avuto sempre uno sviluppo sostenibile.
Chi ha ancora qualche nonno in casa, potrà certamente intervistarlo sull’argomento e vedere come la propria famiglia si è evoluta economicamente grazie all’uso civico.
Il nostro avo potrà di sicuro testimoniare come agli inizi del secolo dalla terra si riusciva a stento a ricavarne di che sopravvivere, molto spesso, pagate le tasse od i tributi, non restava danaro a sufficienza per mangiare ed acquistare le sementi per il raccolto dell’anno successivo, cosicchè non di rado si doveva scegliere se mangiare oggi, o mangiare domani.
Poi man mano che si è andati avanti nel tempo e nuove forme di agricoltura si sono sviluppate, grazie anche al progresso scientifico-tecnologico, dalla terra si traeva a sufficienza per vivere e mettere qualcosa da parte.
E’ così che i nostri nonni han potuto far studiare i nostri genitori, farli migliorare nella scala sociale.
La seconda forma di economia è quella che maggiormente si è sviluppata sui terreni di uso civico del Mezzogiorno. Il piccolo pezzo di terra dato in concessione, o la possibilità di pascolare su larghe estensioni di terra, soddisfatti i bisogni primari, ha consentito la produzione di un reddito tale da produrre ricchezza. Certo non sconfinata ricchezza, ma tale da garantire una certa indipendenza economica.
Diversamente, la terza forma di economia, quella di alta produzione e redditività è inesistente e, laddove esista è a discapito della collettività in quanto non eco-sostenibile.
Il paragone può essere fatto con i nostri fratelli del Nord-Italia, in particolare se si guarda alle regole Ampezzane, dove dallo sfruttamento eco-sostenibile dei beni d’uso civico, si è creata un’economia di alta redditività e tale da garantire lavoro e prosperità all’intera collettività, senza perdere di vista la tutela dello stesso bene di uso civico.
Uno sfruttamento intensivo ma non eccessivo, tale cioè da garantire alto reddito, ma basso impatto ambientale.
Di contro nel nostro mezzogiorno siamo ancora fermi al secondo stadio dell'economia, quella di concorrenza, e vi posso assicurare che in alcuni angoli sperduti del profondo Sud, resistono ancora sacche di "sussistenza".
Più che parlare del passato, dovremmo parlare del futuro, delle occasioni che si possono generare da uno sfruttamento eco-sostenibile dei terreni di uso civico nelle nostre Regioni.
L'evoluzione della tecnologia e del corpus normativo, hanno prodotto strumenti idonei al passaggio dall'economia di concorrenza all'economia di consistenza, occorre saperli sfruttare al meglio.
Mi riferisco alla possibilità di produrre energie cosiddette “da fonti rinnovabili” sui terreni di suo civico, impianti eolici, impianti fotovoltaici, impianti a biomassa, addirittura la possibilità di contribuire alla risoluzione del problema rifiuti.
Secondo un'evoluzione logica del pensiero, e senza troppe filosofie, a mio avviso finanche un impianto di compostaggio è compatibile con la destinazione d'uso di un terreno di uso civico, senza necessità di un mutamento di destinazione, se realizzati sui terreni di categoria "B", ovvero quelli “convenientemente utilizzati a coltura agraria”.
Tale considerazione giuridica mi sovviene riferendomi alla L.R. Campania 11 del 1981, che all'art. 6, ne contempla la concessione ad imprese cooperative locali.
Per cui tramite l'affidamento a cooperative di cui i comuni o le associazioni agrarie o di frazionisti sono soci, è a mio avviso possibile realizzare detto sito di compostaggio,per la produzione di concime da utilizzare sugli stessi terreni di uso civico, o in caso di eccedenza, da vendere e reinvestirne i proventi sempre sui terreni di uso civico.
Tale forma di utilizzo è, ripeto, compatibile con la destinazione agricolo-colturale dei terreni, fatte salve le altre disposizioni normative circa la realizzazione del suddetto sito di compostaggio, che lo rende attuale senza doverne mutare la destinazione d'uso con farraginosi procedimenti regionali. Infatti non si va a stravolgere il terreno con fantasiosi progetti di piazze, fontane od altro, ma a creare un sito dove realizzare in modo naturale del concime.
Cosa che sui terreni di uso civico, già i nostri avi facevano, quando per eliminare i pochi rifiuti che all’epoca si producevano, li seppellivano in un fosso scavato nel terreno, per trasformarli in “humus” ricco di azoto ricavando concime, merce preziosa per l’epoca, e non sempre reperibile.
La legge Calabria n° 18/07,parla di questa possibilità all'art. 23.
Diversamente, ove non previsto dalle leggi regionali, si può far riferimento all'art. 23 della L. 1766 del 1927, che recita: <>.
Per le zone dove non è praticabile tale "escamotage legislativo", si ricorrerà alla procedura di mutamento di destinazione sui terreni che la prevedono, quelli di categoria “A”.
Ma della legge Regione Calabria 18/07, ne parleremo meglio in una successiva occasione, sviscerando le innovazioni e le problematiche che contemporaneamente contiene in sé.
Tornando alle possibili forme di economia praticabili sui terreni di uso civico, abbiamo la novità dell’ultim’ora.
Un’altra nuova forma di valorizzazione per tali terreni è la possibilità offerta dal protocollo di Kyoto in merito ai cosiddetti "crediti di Carbonio".
In pratica per limitare o contrastare l'eccessiva produzione di CO2, si fa ricorso a tale procedura che potremo semplificare così: chi produce CO2 (anidride carbonica - gas ritenuto responsabile dell’effetto serra), deve compensarla con un assorbimento della stessa.
Ora le strade sono due, o ridurne le emissioni con costosissimi procedimenti di riqualificazione-ristrutturazione industriale, o recuperare fonti di O2 (ossigeno) altrove.
E qui che si sta aprendo la nuova frontiera della corsa all'oro.
Stavolta non più rappresentato dalla gialla materia, ma dai millenari boschi, per lo più di uso civico, delle nostre terre.
I boschi fatta una somma algebrica tra la CO2 assorbita e quella prodotta, danno un fattore di credito in termini di CO2, utilizzabile per compensare quella prodotta industrialmente.
Esempio: un bosco di un ettaro produce per via della respirazione CO2 per un volume di 1 tonnellata annua. Di contro, è capace di assorbire, sempre a causa della fotosintesi, CO2 per un valore di 11 tonnellate annue. Per cui da 11-1 si ha un bilancio positivo di 10 tonnellate annue di CO2 che vengono “smaltite” dal nostro bel bosco.
Questo comporta la possibilità di avere, nell’ambito dei complessi meccanismi di controllo del protocollo di Kyoto, un valore misurato in “crediti di carbonio”, concorrenti a rispettare le soglie di emissione. Ovvero si rispetta la soglia di emissione, pur producendo la stessa quantità di gas CO2, che però viene assorbito dai boschi di cui si è proprietari o utilizzatori. E’ un meccanismo complesso che eventualmente affronteremo in una successiva discussione, sul tema specifico.

martedì 16 marzo 2010

VOLER BENE ALL'ITALIA - MANIFESTAZIONE DEL 9 MAGGIO 2010


VOLER BENE ALL’ ITALIA

Domenica 9 Maggio torna Voler Bene all’ Italia, la festa dei piccoli comuni italiani che celebra la forza di questi territori, per riscoprirne tesori, paesaggi, saperi e sapori.
Il CESDUCIM partecipa all'iniziativa con una passeggiata nel verde cilentano.


http://www.piccolagrandeitalia.it/