mercoledì 5 dicembre 2007

ESPROPRIAZIONE SIVE MUTAMENTO DI DESTINAZIONE

Me ne andavo al mattino a spigolare, quando ho visto una barca in mezzo al mare, era una barca che andava a vapore ed alzava una bandiera tricolore.

COMMENTO DEL DOTT. L.GB. VENNERI, DOTTORE IN FARMACIA


Questi versi sono della “Spigolatrice di Sapri”, poesia scritta da Luigi Mercantini a fine del 1857 e canta in versi la spedizione di Sapri di Carlo Pisacane avvenuta il 28 giugno 1857.


Ma perché il Mercantini non una un altro incipit? Tipo la donzelletta vien dalla campagna come il Leopardi, o altro ancora?


Perché mette in bocca i suoi versi a questa gentile ragazzina che, dal tono pacato con cui inizia la poesia sembra che non vada a fare altro che la cosa più naturale possibile, come oggi quando si incontra un amico si invita per il 99% dei casi, a prendere un caffè, sebbene non lo vediamo da anni.


Dove va la signorinella? Va ad esercitare un Uso Civico. Uso civico molto diffuso all'epoca: lo Spicilegio, o di spigolare. (raccogliere spighe nei campi mietuti)


(Così come il il ruspo è quello di raccogliere frutti residui o caduti).


Diciamo, (piccola curiosità) che l'uso civico che esercita la protagonista è cronologicamente corrispondente alla data della spedizione: fine giugno!!!




Come si vede, l'esercizio di uso civico sia “ Uti Singuli che Uti Cives” era talmente diffuso nel passato da trovarne tracce anche in letteratura in modo così naturale. Ma oggi, l'uso civico ovvero, sia il diritto di una collettività di trarre delle utilità primarie dalla terra su cui tale uso grava, sia l'esercizio stesso di tale diritto esercitato dall'utente come singulus et cives è ancora attuale?


La risposta non può essere che SI'!!!




Mutuando dal dizionario della lingua italiana la definizione del termine “lingua”, esso si può adattare al concetto di “uso civico”: “Fenomeno vivente in continua evoluzione”, in più l'uso civico non è legato alle sorti di Stati, Regioni, Province o Comuni, ma della popolazione.


L'uso civico deve essere utilizzato in modo da dare un ritorno economico alle popolazione che ne hanno il titolo, ma compatibilmente con la valenza di tutela ambientale che l'uso civico ha assunto nei tempi moderni ( vedi L. Galasso e D. Lgs 29/ott. 2004 n° 41 codice dei beni culturali e del paesaggio).


Ancora si potrebbe paragonare la definizione di uso civico a quella di “patrimonio Unesco”. (ovvero di tutta una collettività)


Oggi i titolari di uso civico, in base ai regolamenti di gestione, possono trarre dalla terra sostegno economico, facendo ritornare attuale il concetto dell'800 o fino alla metà del secolo scorso.




Senza voler fare considerazioni sull'aumento del costo della vita, dei mutui, od altro, chi è titolare di Uso Civico ha una marcia in più: può trarre dalla terra sostentamento, mezzi necessari prima a sopravvivere e poi a vivere. Io stesso che faccio il farmacista, se non potessi più comprare dai fornitori, ho come cives l'uso civico di raccogliere erbe medicinali, e poter continuare nella professione.




Analisi del termine “ demaniale”


La parola demaniale deriva dal francese domanial, e prima ancora dall'antico francese Demaine XI sec- poi “domaine” che a sua volta deriva dal lat. Dominium da “dominicus” ovvero del signore. Infatti i terreni demaniali erano terreni del dominicus del signore, ma aperti e su cui si esercitavano gli usi civici.


Ma si noti che la parola demaniale ha in sè anche la radice “ demos” dal greco popolo, ed infatti sui terreni demaniali i popoli che vi insistevano traevano mezzi di sussistenza.




Gestione Usi Civici


Per quanto riguarda la gestione della terre di uso civico, sia chiaro dal principio che per esse l'espressione “ gravati da uso civico”, o l'espressione “vincolati” è giuridicamente corretta . Ma la parola gravato, da “gravis” peso (in lat.) indica qualcosa di oneroso, di pesante, di ostacolo. La stessa parola vincolo, di etimologia latina, porta alla mente termini come legacci, legami, ostacoli, impedimenti. Conferisce un senso di negatività all'espressione stessa.


A mio avviso un terreno non è gravato da uso civico, bensì regolamentato da esso. Non è sottoposto a vincolo, bensì è protetto. L'uso civico è un baluardo, una difesa, un freno alla spregiudicatezza e al delirio di onnipotenza, derivante ed avvalorato, dalla scarsità di controlli di certi amministratori od amministratrici locali che credono, i terreni demaniali di uso civico, essere a disposizione per il loro uso e consumo. Il vincolo è da intendersi nei confronti di mutamenti di destinazione, al fine di impedire che vengano concessi con leggerezza. L'accezione negativa di “gravato da uso civico”, è per quanti credono di poterli utilizzare per i loro scopi, in barba alla loro originaria destinazione.


Di Salvo nella sua opera “ Regime amministrativo dei beni di uso civico dei beni dei comuni, delle frazioni, delle associazioni agrarie” In giustizia Civile 1988 II, pag. 163 dice chiaramente che le terre civiche di proprietà collettiva della comunità degli abitanti, non appartengono al patrimonio del Comune e non fanno parte della sua proprietà esclusiva; non rientrano tra i beni del demanio comunale né fra i beni appartenenti al patrimonio dell'ente locale; costituiscono un demanio civico.


Pertanto sia chiaro che il Comune non esercita sulle terre civiche il potere d'Imperio, (per non dire di onnipotenza) ma di rappresentanza e gestione. Infatti per i comuni gestori di terre civiche, essi sono Enti esponenziali.


La titolarità del diritto collettivo di proprietà spetta ai singoli cittadini (cives).


Il comune entra in considerazione solo come rappresentante organizzato della collettività, che è e resta l'unica titolare dell'uso.


( Corte Costituzionale sentenza dell'11/7/1989 )


In quanto “cives”, titolare e portatore di diritti di uso civico, IO rivendico la proprietà del diritto sui terreni dove l'uso civico di frazionista è presente. Questi terreni non sono nella disponibilità dei Comuni, che pensano erroneamente di poterne disporre per i propri usi e consumi in modo impudente e spregiudicato, pensando di sdemanializzarli e poter fare in questo modo, facilmente cassa. Tra l'altro, se ciò anche fosse, essi avrebbero l'obbligo di reinvestire tali proventi in opere di miglioria fondiaria e colturale a vantaggio dei frazionisti. (vedi le leggi in materia di uso civico)


Ma questo non deve essere, perché i terreni di uso civico sono proprietà privata, proprietà privata dei frazionisti, o meglio di una collettività da essi rappresentata , i quali, pertanto, sono a loro volta portatori di pubblico interesse. Mi viene da pensare, per iperbole, se il comune di Roma, chiudesse alla vista il Colosseo, ormai patrimonio oltre che dei romani, degli italiani e del mondo…


Espropri e Mutamenti di destinazione


Và detto però che le terre di uso civico, per motivi di pubblica utilità possono essere suscettibili di mutamento di destinazione (vedi R.D. 332/28) ed espropriate (vedi Corte Costit. Sent. n° 391 dell' 11/7/1989 e Legge 31/1/1994 art. 12. Per quanto riguarda quest'ultima va detto che la Corte Costituz. con sentenza 10/5/1995 n° 156 ha stabilito l'illegittimità costituzionale nella parte in cui non sia sentito il parere delle regioni interessate sulla cessazione degli usi civici, e nella parte in cui affida al commissario di fissare l'indennità ai fruitori degli usi civici, questo ad onor del vero.)


Nel caso del mutamento di destinazione, il terreno di uso civico, quando cessa o viene meno lo scopo per cui è stato concesso il mutamento, torna all'originaria destinazione. Nel caso dell'esproprio no. Senza entrare nel merito della terza forma di perdita o di alienazione di uso civico, l'affrancazione, oggetto magari di altro discorso, sia detto che nel caso dell'esproprio per pubblica utilità, il terreno di uso civico deve avere il suo valore monetizzato, e pagato alla collettività titolare del diritto di uso civico, così come si paga un'indennità di esproprio ad un privato: e questo a mio avviso, vale anche per i mutamenti di destinazione. Infatti è d'obbligo, in un modo o nell'altro, restituire sotto forma di moneta, il valore del bene sottratto all'uso civico o come esproprio, o come mutamento di destinazione.
Fatta questa premessa, entriamo nel cuore dell'argomento che ho sviluppato:


ovvero un commento alla sentenza della Corte Costituzionale n° 348 del 2007 che tratta il tema del “ristoro non irrisorio” per gli espropri per pubblica utilità.


Va detto che la sentenza si riferisce a terreni edificabili espropriati, pur tuttavia il concetto espresso ben si adatta anche ad i terreni di Uso Civico.


Leggendo in seguito si capirà il perché.




















Commento alla sentenza n° 348 del 2007 della Corte Costituzionale.






[…] Con ordinanza depositata il 29 maggio 2006 (r.o. n. 402 del 2006), la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, per violazione dell'art. 111, primo e secondo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950, cui è stata data esecuzione con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), nonché dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione al citato art. 6 CEDU ed all'art. 1 del primo Protocollo della Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, cui è stata data esecuzione con la medesima legge n. 848 del 1955.


La norma è oggetto di censura nella parte in cui, ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione dei suoli edificabili, prevede il criterio di calcolo fondato sulla media tra il valore dei beni e il reddito dominicale rivalutato, disponendone altresì l'applicazione ai giudizi in corso alla data dell'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992.


[…] La censura della parte ricorrente è estesa all'art. 37 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), in quanto si tratta della disposizione, oggi vigente, che ha perpetuato il criterio di calcolo censurato.


[…] Con la sentenza del 29 marzo 2006, invece, la Corte di Strasburgo ha rilevato la strutturale e sistematica violazione, da parte del legislatore italiano, dell'art. 1 del primo Protocollo della Convenzione europea, osservando che la quantificazione dell'indennità in modo irragionevole rispetto al valore del bene ha determinato, appunto, una situazione strutturale di violazione dei diritti dell'uomo.


[…] La Corte costituzionale è introduttiva di un criterio mediato che assicura un ristoro «non irrisorio» ai soggetti espropriati, nel rispetto della funzione sociale della proprietà. (sentenze n° 283, 414, e 442 del 1993). Inoltre, in merito ad un giudizio analogo, la Suprema Corte cita la pronuncia definitiva resa dalla “Grande Chambre” il 29 marzo 2006 e scrutina il concetto di Pubblica Utilità.


Infatti, nel presente giudizio […] il profilo della utilità pubblica risulterebbe di modesta rilevanza, essendo le aree espropriate destinate alla costruzione di un parcheggio e alla realizzazione di “verde attrezzato”. (Abbiamo il concetto quindi di “ MODESTA RILEVANZA PUBBLICA” e su cui torneremo in seguito).


In merito all'applicazione delle sentenze della corte europea, si segnala che la Risoluzione 1226 (2000) dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa abbia affermato […] che gli Stati contraenti sono tenuti ad assicurare, tra l'altro, l'applicazione diretta, da parte dei Giudici nazionali, della Convenzione e delle sentenze della Corte Europea che la interpretano e la applicano. Pertanto questa sentenza è destinata a fare storia.


[…] È inoltre richiamato il passaggio della menzionata pronunzia, ove sono citate le sentenze n. 223 del 1983, n. 283 e n. 442 del 1993, con le quali la Corte costituzionale ha invitato il legislatore ad adottare una disciplina normativa che assicuri «un serio ristoro» al privato, Peraltro, poiché alcuni criteri utilizzati, sono stati trasfusi nel testo unico in materia di espropriazioni (d.P.R. n. 327 del 2001), la Corte di Strasburgo non ha mancato di rilevare come sia agevolmente prefigurabile la proposizione di numerosi e fondati ricorsi. […] La tutela del diritto di proprietà prevista nell'art. 1 del primo Protocollo non differisce nel contenuto dalla tutela apprestata dall'art. 42 Cost., posto che entrambe le norme richiedono un giusto bilanciamento tra interessi del singolo e interesse della comunità.


Ancora, si valuta che, […] la necessità di un «giusto equilibrio» porta alla conclusione per cui «ogni volta che venga sacrificato il diritto e l'interesse di un singolo per la realizzazione di una singola opera pubblica e/o di pubblica utilità, l'indennizzo deve essere pari al valore venale integrale del bene, mentre è soltanto nei casi eccezionali, in cui la privazione della proprietà riguardi una serie indeterminata di soggetti e sia volta ad attuare fondamentali riforme politiche, economiche e/o sociali, che l'indennizzo potrebbe, se del caso, essere inferiore all'integrale valore venale del bene, fermo restando che, anche in questi casi, l'indennizzo deve sempre e comunque essere in ragionevole collegamento con detto valore. […] E' d'obbligo che si attui il necessario ed imprescindibile giusto equilibrio tra il diritto umano del singolo e l'interesse della collettività», evitando, pertanto, un «carattere sostanzialmente “punitivo”».


[…]Questa Corte ha richiamato la sua pregressa giurisprudenza, consolidatasi negli anni, sul concetto di «serio ristoro», particolarmente illustrato nella sentenza n. 5 del 1980. Quest'ultima pronuncia ha stabilito che «l'indennizzo assicurato all'espropriato dall'art. 42, comma terzo, Cost., se non deve costituire una integrale riparazione della perdita subita - in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l'interesse generale che l'espropriazione mira a realizzare - non può essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica ma deve rappresentare un serio ristoro. Perché ciò possa realizzarsi, occorre far riferimento, per la determinazione dell'indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge. Solo in tal modo può assicurarsi la congruità del ristoro spettante all'espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene».


Pertanto si valuta il bene per le sue caratteristiche peculiari ed intrinseche.


Vi faccio un esempio: se si volesse espropriare un terreno gravato da uso civico per costruire una piazza, questo è un pubblico interesse? Ma se l'Ente espropriatore ha già tre piazze, e questa fosse la quarta, il concetto di pubblica utilità, verrebbe o meno a perdere vigore, trasformandosi, pertanto, in mero ed aleatorio, oltre che chimerico?


Ancora, sia posto il caso di una collettività di frazionisti titolari di uso civico, che rappresenta i due terzi della popolazione del comune di appartenenza, nel momento in cui si inizia una procedura per pubblico interesse per la totalità degli abitanti, in questo caso il pubblico interesse superiore, che mette in moto la procedura di mutamento di destinazione, c'è o non c'è?. Ovvero in nome di chi si inizia il meccanismo del cambio di destinazione? Del restante terzo della popolazione? Se i due terzi sono frazionisti titolari di uso civico che in tal modo verrebbero privati del loro diritto, e che si oppongono, si computano nel novero del pubblico interesse, o il restante terzo della popolazione da sola, prevarica sui precedenti?


Ed ancora, posto che si dà all'esproprio il concetto di pubblica utilità, se il terreno oggetto dell'esproprio veniva utilizzato dai cives, o frazionisti, per festeggiare il buon esito del raccolto con una festa popolare, di valenza sociale, etnica, culturale, potrebbe quel terreno essere “pagato” con un astratto criterio basato su astratte ed impersonali tabelle? NOSSIGNORE, bisogna tenere conto delle caratteristiche intrinseche del bene, orientamento questo, già anticipato dalla regione campania, che con nella seduta del 3 agosto 2007, deliberaz. N° 1464, Area Generale di Coordinamento 11, Sviluppo e attività settore primario, avente ad oggetto: Legge regionale n° 11 del 17/03/1981, art. 11: aggiornamento perit i istruttori demaniali, delibera di consentire l'inserimento nell'elenco dei periti istruttori demaniali, di soggetti in possesso di laurea in giurisprudenza e/o discipline umanistiche, al fine di poter espletare indagini di natura storico-giuridica.


Riprendendo il commento alla sentenza, essa continua enunciando che[…] il principio del serio ristoro è violato, secondo tale pronuncia, quando, «per la determinazione dell'indennità, non si considerino le caratteristiche del bene da espropriare ma si adotti un diverso criterio che prescinda dal valore di esso».


Ecco il valore delle indagini storiche nel nostro caso di specie.


[…] La sentenza n. 283 del 1993, ha confermato il principio del serio ristoro, precisando che, l'indennità stessa non può essere (in negativo) meramente simbolica od irrisoria, ma deve essere (in positivo) congrua, seria, adeguata».


Posto che, in conformità all'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, deve essere esclusa «una valutazione del tutto astratta in quanto sganciata dalle caratteristiche essenziali del bene ablato»,( e ritorna la considerazione di cui sopra) questa Corte ha ritenuto ammissibili criteri «mediati», lasciando alla discrezionalità del legislatore l'individuazione dei parametri concorrenti con quello del valore venale. La Corte stessa ha tenuto a precisare che la «mediazione tra l'interesse generale sotteso all'espropriazione e l'interesse privato, espresso dalla proprietà privata, non può fissarsi in un indefettibile e rigido criterio quantitativo, ma risente sia del contesto complessivo in cui storicamente si colloca, sia dello specifico che connota il procedimento espropriativo, non essendo il legislatore vincolato ad individuare un unico criterio di determinazione dell'indennità, valido in ogni fattispecie espropriativa».


Come emerge chiaramente dalla citata pronuncia, questa Corte, accanto al criterio del serio ristoro - che esclude la pura e semplice identificazione dell'indennità espropriativa con il valore venale del bene - ha pure riconosciuto la relatività sincronica e diacronica dei criteri di determinazione adottabili dal legislatore. In altri termini, l'adeguatezza dei criteri di calcolo deve essere valutata nel contesto storico, istituzionale e giuridico esistente al momento del giudizio. (Addirittura si va oltre il valore venale, già di per sé superiore ai criteri attuali, ma si inserisce il concetto di contesto storico e pertanto sociale) (si pongono in evidenza proprio la relatività delle valutazioni, che richiede di verificare nel tempo e nello spazio normativo il punto di equilibrio tra i contrastanti interessi costituzionalmente protetti.)


Ancora si deve rilevare che[…] l'art. 1 del primo Protocollo della CEDU è stato oggetto di una progressiva focalizzazione interpretativa da parte della Corte di Strasburgo, che ha attribuito alla disposizione un contenuto ed una portata ritenuti dalla stessa Corte incompatibili con la disciplina italiana dell'indennità di espropriazione.


In esito ad una lunga evoluzione giurisprudenziale, la Grande Chambre, con la decisione del 29 marzo 2006, ha fissato alcuni principi generali: a) un atto della autorità pubblica, che incide sul diritto di proprietà, deve realizzare un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui (punto 93); b) nel controllare il rispetto di questo equilibrio, la Corte riconosce allo Stato «un ampio margine di apprezzamento», tanto per scegliere le modalità di attuazione, quanto per giudicare se le loro conseguenze trovano legittimazione, nell'interesse generale, dalla necessità di raggiungere l'obiettivo della legge che sta alla base dell'espropriazione (punto 94); c) l'indennizzo non è legittimo, se non consiste in una somma che si ponga «in rapporto ragionevole con il valore del bene»; […] (punto 95); d) in caso di «espropriazione isolata», pur se a fini di pubblica utilità, solo una riparazione integrale può essere considerata in rapporto ragionevole con il valore del bene (punto 96);


[…] Poiché i criteri di calcolo dell'indennità di espropriazione previsti dalla legge italiana porterebbero alla corresponsione, in tutti i casi, di una somma largamente inferiore al valore di mercato (o venale), la Corte europea ha dichiarato che l'Italia ha il dovere di porre fine ad una violazione sistematica e strutturale dell'art. 1 del primo Protocollo della CEDU, anche allo scopo di evitare ulteriori condanne dello Stato italiano in un numero rilevante di controversie seriali pendenti davanti alla Corte medesima. ( PAROLE MOLTO DURE, ma in osservanza dei criteri della CEDU


[…] Sia la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana sia quella della Corte europea concordano nel ritenere che il punto di riferimento per determinare l'indennità di espropriazione deve essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato, […] che la valutazione sull'adeguatezza dell'indennità deve essere condotta in termini relativi, avendo riguardo al quadro storico-economico ed al contesto istituzionale.


[…] Un'indennità «congrua, seria ed adeguata» (come precisato dalla sentenza n. 283 del 1993) non può adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza per calcoli successivi che si avvalgono di elementi del tutto sganciati da tale dato, concepiti in modo tale da lasciare alle spalle la valutazione iniziale, per attingere risultati marcatamente lontani da essa. ( e qui torniamo all'esempio della piazza da costruire su un terreno oggetto di utilizzo sociale e culturale) Mentre il reddito dominicale mantiene un sia pur flebile legame con il valore di mercato (con il risultato pratico però di dimezzare, il più delle volte, l'indennità), l'ulteriore detrazione del 40 per cento è priva di qualsiasi riferimento, non puramente aritmetico, al valore del bene. D'altronde tale decurtazione viene esclusa in caso di cessione volontaria e quindi risulta essere non un criterio, per quanto “mediato”, di valutazione del bene, ma l'effetto di un comportamento dell'espropriato.


CONSIDERAZIONI FINALI


[…] Da quanto sinora detto si deve trarre la conclusione che la norma censurata - la quale prevede un'indennità oscillante, nella pratica, tra il 50 ed il 30 per cento del valore di mercato del bene - non supera il controllo di costituzionalità in rapporto al «ragionevole legame» con il valore venale, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il «serio ristoro» richiesto dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte. La suddetta indennità è inferiore alla soglia minima accettabile di riparazione dovuta ai proprietari espropriati, anche in considerazione del fatto che la pur ridotta somma spettante ai proprietari viene ulteriormente falcidiata dall'imposizione fiscale, la quale - come rileva il rimettente - si attesta su valori di circa il 20 per cento. Il legittimo sacrificio che può essere imposto in nome dell'interesse pubblico non può giungere sino alla pratica vanificazione dell'oggetto del diritto di proprietà. (e che è oggetto di tutela da parte della Costituì. Italiana e CEDU)


[…] Non emergono, sulla base delle considerazioni fin qui svolte, profili di incompatibilità tra l'art. 1 del primo Protocollo della CEDU, quale interpretato dalla Corte di Strasburgo, e l'ordinamento costituzionale italiano, con particolare riferimento all'art. 42 Cost.


(Si ribadisce la salvaguardia della proprietà privata, sia a livello costituzionale, che a livello dei diritti dell'uomo.)


per questi motivi


LA CORTE COSTITUZIONALE


[…] riuniti i giudizi,


dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359;


dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell'art. 37, commi 1 e 2, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).


Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2007.


Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2007.






Questa sentenza non discute, non dichiara, o declama o proclama, bensì statuisce, o meglio scolpisce a caratteri indelebili nell'ordinamento giuridico italiano, che la proprietà privata è garantita a livello di Costituzione (art. 42) ed a livello internazionale ( art. 1 del Primo Protocollo del 20/3/1952).


Le considerazioni finali sono che se l'esproprio di un terreno privato colpisce la sfera della proprietà privata del singolo, l'esproprio di un terreno gravato da uso civico inerisce la proprietà privata di una collettività, pertanto di una moltitudine di individui, elevando esponenzialmente gli effetti che tale esproprio cagiona al singolo in termini affettivi, economici sociali e giuridici.


Pertanto seria, adeguata ed indiscutibile motivazione di pubblica utilità, deve accompagnare ogni richiesta di esproprio o mutamento di destinazione di ogni e qualsivoglia terreno gravato da uso civico.


Diversamente si ravvisa un tentativo irragionevole, ancor più maldestro ed inefficace, di attacco e spoliazione di proprietà privata, tra l'altro garantita e tutelata prima dalla Costituzione, e poi dalla CEDU, con gli effetti che ne derivano. Ricordo, ad ogni buon conto, quanto già teorizzai nel convegno del Cesducim del 5 ottobre a Salerno:


Qualora l'Ente, sia esso Comune, Provincia o Regione insistesse nel riversare i suoi interessi (leggi appetiti) sui terreni di uso civico, e persistesse nelle richieste di mutamento di destinazione, od espropri per pubblica utilità, per fini di “pubblica utilita” non adeguatamente motivati, si presenterebbe un attacco alla proprietà privata, proprietà privata di una collettività, o civitas, o di frazionisti. Ancora, su questi terreni, in quanto sottoposti a vincoli paesaggistici non possono essere realizzate che alcuni tipi di opere pubbliche i cui proventi devono poi essere reinvestiti nel miglioramento e nelle trasformazioni fondiarie e colturali, escludendo categoricamente opere che contrastano col vincolo paesaggistico. Pertanto, qualora ciò non fosse, ed essendo la proprietà privata e l'ambiente garantiti dalla Costituzione, e le violazioni di normative ambientali soprattutto se ripetute, costituiscono gravi violazioni di legge, a mio avviso si potrebbe invocare l'art. 141 comma 1 lettera ”a” T.U.E.L ( D.Lgs 267/2000) che prevede lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, o l'art. 126 della Costituzione, che prevede lo scioglimento dei Consigli Regionali, quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge. (quali appunto la proprietà privata e l'ambiente)