sabato 27 marzo 2010

RELAZIONE DEL DOTT. VENNERI AL CONVEGNO DI ROSSANO (CS) DEL 22.3.2010

EVOLUZIONE NEL TEMPO DELLE FORME DI ECONOMIA, SUI TERRENI D’USO CIVICO.
22-MARZO-2010 Rossano- (CS)
(del dr. Leonardo Giambattista Venneri cell.: 335-452517, mail: leo.venneri@katamail.com)

L'uso civico è indissolubilmente legato alle sorti dell'umanità, da quando essa ha cominciato ad organizzarsi in società.
Come più volte da me ripetuto, l'uso civico è definibile "fenomeno vivente in continua evoluzione", la stessa definizione che sul dizionario Italiano è data della parola “lingua”.
E più avanti capiremo perchè.
Con l’aiuto di alcune immagini e soprattutto delle vignette dell’amico Corrado Lucibello (fig. 0) ho inteso riassumere, semplificando, l'evoluzione dell'uomo in 3 stadi.
La figura 1 mostra un uomo primitivo agli albori della sua comparsa, il cosiddetto “homo erectus”, che comparve circa 1-1.5 milioni di anni fa, e rappresenta appunto un uomo primitivo che comincia a prendere coscienza della sua superiorità sul resto del mondo, utilizzando i primi strumenti, estensioni delle mani, con i quali sopperire, modellati dall'ingegno, all'assenza di armi naturali, vale a dire denti od artigli.
Il secondo step dell'evoluzione,(Fig. 2) ci presenta l'homo sapiens, vissuto tra i 250-200.000 anni fa che, a differenza del suo predecessore, conosce ed ha imparato ad usare il fuoco, la ruota, lentamente arriva a plasmare i primi metalli, sebbene in modo rudimentale, ma soprattutto comincia ad organizzarsi in società, con lo sviluppo del linguaggio e dei sistemi di comunicazione.
Insomma si creano le prime forme di cooperazione sociale, da cui poi si sviluppano le regole comportamentali, le usanze, i riti e le tradizioni.
In ultimo, fig. 3, abbiamo l’homo economicus, molto spesso colluso o confuso con il suo contemporaneo, l’homo politicus, che rappresenta l’ultimo stadio dell’evoluzione umana, e questo ci fa riflettere sul fatto che non sempre ci si evolve verso il meglio.
In modo più dettagliato e meno romanzesco l’evoluzione umana è raccontata dai libri di storia. Abbiamo ancora qualche figura, liberamente tratta da internet.( fig. 1-bis e 4)
Ma quello che sui libri non si trova o meglio non sempre è chiaramente descritto, è la presenza di quella forma di organizzazione a sfondo economico che può ricomprendersi nella categoria degli usi civici. L’uso civico è storicamente documentato nell’antichità a partire dalla “χοίνη χωρα ” ovvero il “territorio comune” delle colonie greche della Magna Graecia. Esso era una sorta di riserva collettiva da cui i coloni traevano sostentamento, ciascuno in base alle proprie esigenze.
Ancora un altro esempio è dato dalle arimannie germaniche.
L’uso civico continua ad essere presente in tutto il medio-evo, ed in seguito, evolvendosi giuridicamente con le leggi eversive dalla feudalità, fino ad arrivare all’unità d’Italia ed alla prima legge di riordino (la 1766 del 16/06/1927), si arriva ai giorni nostri, con il conferimento dei poteri legislativi alle regioni, per quanto non di competenza statale (DPR 616/77).
Parallelamente all’evoluzione dell’uomo, abbiamo un’evoluzione dell’economia, che possiamo riassumere sempre con vignette, o immagini liberamente tratte da internet, e che rispecchiano i tre stadi del’evoluzione umana. Tale evoluzione economica è strettamente connessa all’uso civico, essendo esso profondamente legato alla storia dell’uomo in quanto dall’uso civico l’uomo traeva sostentamento e guadagno.
Abbiamo pertanto:

1) ECONOMIA DI SUSSISTENZA, O SOPRAVVIVENZA OD ESSENZIALE;
2) ECONOMIA DI CONCORRENZA, O ASSISTENZA, O DI AUSILIO AL REDDITO;
3) ECONOMIA DI CONSISTENZA, O DI MERCATO O DI ALTA REDDITIVITA’.

La prima forma di economia è quella che io definisco di sussistenza, o sopravvivenza. (fig. 5 )
E’ caratterizzata da una forma di sfruttamento delle risorse oltremodo arcaica e primitiva, ridotta all’osso,vuoi per l’assenza di strumenti adatti ad uno sfruttamento più razionale, vuoi per l’assenza di esigenze più evolute e complesse rispetto alla semplice sopravvivenza rivolta all’aspetto del quotidiano.
In questa fase, l’uomo è principalmente raccoglitore e cacciatore, poco coltivatore. Un agricoltore in erba insomma. Comincia a sfruttare la terra con mezzi insufficienti a dare frutti soverchianti le necessità basilari, e si organizza per una forma di rudimentale allevamento di bestiame. Quest’economia è quella di base, direi essenziale.
Come “USI ESSENZIALI” sono definiti nell’uso civico i diritti di pascolare ed abbeverare il bestiame, il diritto di raccogliere legna per sé, ed il diritto di semina.
Vale a dire i diritti essenziali per una sopravvivenza molto spesso ai limiti del decoro. Come recita la già citata legge del 1927 all’articolo 4, che li definisce essenziali << se il personale esercizio si riconosca necessario per i bisogni della vita >>.
Tale classificazione degli usi civici è la riprova della correlazione tra economia ed uso civico nella storia dell’uomo. Essenziali sono gli usi civici il cui esercizio è correlato al soddisfacimento dei bisogni primari dell’uomo, essenziale è la prima forma di economia, sempre agricola, che si affaccia nella storia dell’uomo.
E nella storiografia, la condizione del servo della gleba è quella che meglio incarna questo primo stadio dell’economia.
Successivamente, con lo sviluppo di nuove tecniche o tecnologie, passiamo ad una forma di economia alquanto più evoluta e che definirei di concorrenza ovvero di ausilio al reddito.
Una forma di economia che ha superato il soddisfacimento dei bisogni primari, che ormai sono sufficientemente risolti, e che diventa di sostegno o meglio di incremento al reddito base.
E’ un’economia che consente di avere un tornaconto che ecceda quello necessario al sostentamento personale e familiare. A questa forma di economia possiamo collegare sempre ai sensi dell’articolo 4 della già citata legge 1766 del 1927, gli “USI UTILI”, ovvero quelli compresi prevalentemente a scopo di industria.
L’agricoltura si è evoluta, ( fig. 6) l’uomo ha scoperto nuovi attrezzi per lavorare al meglio il terreno, si affida ad opere d’ingegno, quali l’ingegneria idraulica, per garantire un’irrigazione costante dei campi, o ricavare forza motrice da impiegare nel lavoro, sostituendo lentamente la forza animale. Passiamo dai mulini ad acqua, ai mulini a vento, fino ad arrivare all’era del vapore, e poi dell’elettricità.
Questa forma di economia è quella che permette all’uomo di evolversi da semplice contadino, rozzo e primitivo, a mediocre borghese. Status sociale che con abilità nel commercio lo porteranno in seguito, a diventare un ricco borghese.
Siamo alla fase due dell’uso civico, quello che parla appunto di “usi utili”.
Utili a migliorare la propria qualità di vita, essendo i bisogni primari già stati adeguatamente soddisfatti. Con l’evoluzione delle tecnologie, l’uomo passa da raccoglitore di frutti o di legna secca, ad industriale boschivo o imprenditore agricolo.
Se prima con la forza delle sue braccia poteva dissodare e coltivare una limitata estensione di terreno, o tagliare legna appena sufficiente per i suoi bisogni,o limitarsi a raccogliere quanto la terra gli offriva spontaneamente, ( il ruspo, il ghiandatico, lo spicilegio) ora con l’ausilio delle macchine, (fig. 7) arriva a coltivare importanti estensioni di terreni, e a poter tagliare un intero bosco in pochi giorni al fine di commercializzarne il legname.
O cavar pietre in quantità tale da costruire intere città.
Il motivo per cui insisto su questo secondo stadio, vale a dire di concorrenza al reddito base, sarà presto chiaro, dopo un breve cenno al terzo stadio dell’evoluzione economica.
Quest’ultimo può essere definito dell’economia di consistenza, ovvero della cosiddetta economia di mercato ad alta redditività (fig.8).
E’ quella forma di sfruttamento intensivo finalizzata strettamente alla produzione di reddito, anzi di alto reddito, un reddito di qualità, non più strettamente di base o di sopravvivenza, ma di una forma di ricchezza paragonabile a quella proveniente dalle alte speculazioni edilizie o finanziare.
Nella nostro Paese, sui terreni di uso civico, possiamo dire che le prime due forme di economia, quella di sussistenza e di concorrenza, si sono realizzate dove prima e dove poi, completamente in tutto il territorio.
Invece la terza non ha avuto nel meridione lo stesso sviluppo che ha avuto nel settentrione, e laddove si è cercato di praticarla, l’economia di mercato o di consistenza, non ha avuto sempre uno sviluppo sostenibile.
Chi ha ancora qualche nonno in casa, potrà certamente intervistarlo sull’argomento e vedere come la propria famiglia si è evoluta economicamente grazie all’uso civico.
Il nostro avo potrà di sicuro testimoniare come agli inizi del secolo dalla terra si riusciva a stento a ricavarne di che sopravvivere, molto spesso, pagate le tasse od i tributi, non restava danaro a sufficienza per mangiare ed acquistare le sementi per il raccolto dell’anno successivo, cosicchè non di rado si doveva scegliere se mangiare oggi, o mangiare domani.
Poi man mano che si è andati avanti nel tempo e nuove forme di agricoltura si sono sviluppate, grazie anche al progresso scientifico-tecnologico, dalla terra si traeva a sufficienza per vivere e mettere qualcosa da parte.
E’ così che i nostri nonni han potuto far studiare i nostri genitori, farli migliorare nella scala sociale.
La seconda forma di economia è quella che maggiormente si è sviluppata sui terreni di uso civico del Mezzogiorno. Il piccolo pezzo di terra dato in concessione, o la possibilità di pascolare su larghe estensioni di terra, soddisfatti i bisogni primari, ha consentito la produzione di un reddito tale da produrre ricchezza. Certo non sconfinata ricchezza, ma tale da garantire una certa indipendenza economica.
Diversamente, la terza forma di economia, quella di alta produzione e redditività è inesistente e, laddove esista è a discapito della collettività in quanto non eco-sostenibile.
Il paragone può essere fatto con i nostri fratelli del Nord-Italia, in particolare se si guarda alle regole Ampezzane, dove dallo sfruttamento eco-sostenibile dei beni d’uso civico, si è creata un’economia di alta redditività e tale da garantire lavoro e prosperità all’intera collettività, senza perdere di vista la tutela dello stesso bene di uso civico.
Uno sfruttamento intensivo ma non eccessivo, tale cioè da garantire alto reddito, ma basso impatto ambientale.
Di contro nel nostro mezzogiorno siamo ancora fermi al secondo stadio dell'economia, quella di concorrenza, e vi posso assicurare che in alcuni angoli sperduti del profondo Sud, resistono ancora sacche di "sussistenza".
Più che parlare del passato, dovremmo parlare del futuro, delle occasioni che si possono generare da uno sfruttamento eco-sostenibile dei terreni di uso civico nelle nostre Regioni.
L'evoluzione della tecnologia e del corpus normativo, hanno prodotto strumenti idonei al passaggio dall'economia di concorrenza all'economia di consistenza, occorre saperli sfruttare al meglio.
Mi riferisco alla possibilità di produrre energie cosiddette “da fonti rinnovabili” sui terreni di suo civico, impianti eolici, impianti fotovoltaici, impianti a biomassa, addirittura la possibilità di contribuire alla risoluzione del problema rifiuti.
Secondo un'evoluzione logica del pensiero, e senza troppe filosofie, a mio avviso finanche un impianto di compostaggio è compatibile con la destinazione d'uso di un terreno di uso civico, senza necessità di un mutamento di destinazione, se realizzati sui terreni di categoria "B", ovvero quelli “convenientemente utilizzati a coltura agraria”.
Tale considerazione giuridica mi sovviene riferendomi alla L.R. Campania 11 del 1981, che all'art. 6, ne contempla la concessione ad imprese cooperative locali.
Per cui tramite l'affidamento a cooperative di cui i comuni o le associazioni agrarie o di frazionisti sono soci, è a mio avviso possibile realizzare detto sito di compostaggio,per la produzione di concime da utilizzare sugli stessi terreni di uso civico, o in caso di eccedenza, da vendere e reinvestirne i proventi sempre sui terreni di uso civico.
Tale forma di utilizzo è, ripeto, compatibile con la destinazione agricolo-colturale dei terreni, fatte salve le altre disposizioni normative circa la realizzazione del suddetto sito di compostaggio, che lo rende attuale senza doverne mutare la destinazione d'uso con farraginosi procedimenti regionali. Infatti non si va a stravolgere il terreno con fantasiosi progetti di piazze, fontane od altro, ma a creare un sito dove realizzare in modo naturale del concime.
Cosa che sui terreni di uso civico, già i nostri avi facevano, quando per eliminare i pochi rifiuti che all’epoca si producevano, li seppellivano in un fosso scavato nel terreno, per trasformarli in “humus” ricco di azoto ricavando concime, merce preziosa per l’epoca, e non sempre reperibile.
La legge Calabria n° 18/07,parla di questa possibilità all'art. 23.
Diversamente, ove non previsto dalle leggi regionali, si può far riferimento all'art. 23 della L. 1766 del 1927, che recita: <>.
Per le zone dove non è praticabile tale "escamotage legislativo", si ricorrerà alla procedura di mutamento di destinazione sui terreni che la prevedono, quelli di categoria “A”.
Ma della legge Regione Calabria 18/07, ne parleremo meglio in una successiva occasione, sviscerando le innovazioni e le problematiche che contemporaneamente contiene in sé.
Tornando alle possibili forme di economia praticabili sui terreni di uso civico, abbiamo la novità dell’ultim’ora.
Un’altra nuova forma di valorizzazione per tali terreni è la possibilità offerta dal protocollo di Kyoto in merito ai cosiddetti "crediti di Carbonio".
In pratica per limitare o contrastare l'eccessiva produzione di CO2, si fa ricorso a tale procedura che potremo semplificare così: chi produce CO2 (anidride carbonica - gas ritenuto responsabile dell’effetto serra), deve compensarla con un assorbimento della stessa.
Ora le strade sono due, o ridurne le emissioni con costosissimi procedimenti di riqualificazione-ristrutturazione industriale, o recuperare fonti di O2 (ossigeno) altrove.
E qui che si sta aprendo la nuova frontiera della corsa all'oro.
Stavolta non più rappresentato dalla gialla materia, ma dai millenari boschi, per lo più di uso civico, delle nostre terre.
I boschi fatta una somma algebrica tra la CO2 assorbita e quella prodotta, danno un fattore di credito in termini di CO2, utilizzabile per compensare quella prodotta industrialmente.
Esempio: un bosco di un ettaro produce per via della respirazione CO2 per un volume di 1 tonnellata annua. Di contro, è capace di assorbire, sempre a causa della fotosintesi, CO2 per un valore di 11 tonnellate annue. Per cui da 11-1 si ha un bilancio positivo di 10 tonnellate annue di CO2 che vengono “smaltite” dal nostro bel bosco.
Questo comporta la possibilità di avere, nell’ambito dei complessi meccanismi di controllo del protocollo di Kyoto, un valore misurato in “crediti di carbonio”, concorrenti a rispettare le soglie di emissione. Ovvero si rispetta la soglia di emissione, pur producendo la stessa quantità di gas CO2, che però viene assorbito dai boschi di cui si è proprietari o utilizzatori. E’ un meccanismo complesso che eventualmente affronteremo in una successiva discussione, sul tema specifico.